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Dopo decenni d’ipotesi e dibattiti, l’origine delle due lune di Marte ‘Fobos’ e ‘Deimos’ resta un mistero che appassiona il mondo scientifico.
Alcuni studiosi pensano che anticamente fossero due asteroidi vaganti, poi catturati dalla gravità del pianeta; altri invece che siano frammenti dello stesso Pianeta Rosso, volati via in seguito a collisioni catastrofiche; altri ancora, infine, propongono la classica nascita per aggregazione, avvenuta nello stesso periodo in cui si stava formando Marte.
Oggi, grazie a recenti simulazioni fatte usando diversi supercomputer, è plausibile azzardare una quarta interessante ipotesi: le lune sono ciò che resta di un asteroide, frantumato dalla gravità marziana.
La proposta viene descritta in uno studio che uscirà interamente sul numero di gennaio della rivista Icarus ed è stata sviluppata da un team di scienziati Nasa del Centro ‘Ames’ di Mountain View, in California. A capo del gruppo c’è il ricercatore Jacob Kegerreis, già impegnato da tempo a scoprire le origini della nostra Luna.
Gli scienziati hanno teorizzato centinaia di scenari simulati, modificando di volta in volta vari parametri, che poi hanno sottoposto ai supercomputer dell’Università di Durham, in Inghilterra, per calcolarne l’evoluzione. Tra questi, c’è una serie in cui si ammette la possibilità che le due lune in origine facessero parte di un corpo roccioso molto più grande, in transito nelle prossimità di Marte: il pianeta dapprima lo ha attratto verso di sé, poi lo ha ridotto in brandelli una volta varcato il limite di Roche.
La metà circa della materia frantumata è finita dispersa, sfumata via nello Spazio. Il resto è rimasto imbrigliato dall’attrazione gravitazionale di Marte, spargendosi in maniera caotica nelle vicinanze del pianeta.
Nel tempo, l’azione congiunta della gravità di Marte e del Sole ha rimescolato senza posa questi frammenti, facendoli scontrare in continuazione fino a polverizzarli. Gli impatti hanno anche modificato le loro orbite, rendendole sempre più circolari. Al termine di questa fase, i detriti erano distribuiti in modo omogeneo intorno al pianeta, formando un anello esteso all’altezza dell’equatore marziano.
In seguito, sempre a causa dell’incessante azione della gravità , questi piccoli granelli di roccia avrebbero ripreso ad aggregarsi, dato vita alle lune che vediamo oggi.
Questa nuova proposta esclude alcune delle obiezioni che erano state fatte alle precedenti.
Ad esempio, la vecchia idea che le lune siano due asteroidi catturati ha il suo punto debole nella posizione attuale delle loro orbite.
Sebbene matematicamente ammissibile, nei fatti è estremamente improbabile che un corpo attratto casualmente dalla gravità ruoti attorno al pianeta con un’orbita perfettamente equatoriale (l’incinazione sul piano di Laplace è inferiore a un grado per entrambe), in un tragitto sorprendentemente circolare.
I detriti e le polveri, come vediamo per Saturno, Giove, Nettuno e altri corpi dotati di anelli, sono invece sempre sparsi all’altezza dell’equatore, e sono anch’essi residui della frammentazione di corpi di passaggio, provocata della gravità dei pianeti. Dalla loro aggregazione sono nate lune (come Prometeo, Dafne e le altre lune ‘pastore’ di Saturno), che percorrono anch’esse un’orbita equatoriale e circolare: uno scenario che sembra calzare perfettamente anche per Fobos e Deimos.
Se questa nuova teoria è corretta e l’origine è comune, la composizione delle lune di Marte dovrebbe essere simile, cosa che ancora non sappiamo.
La risposta comunque arriverà tra non molto, nel 2026 è previsto l’avvio della missione Mmx (Martian Moons Exploration), promossa dall’agenzia spaziale giapponese Jaxa insieme con altri partner e che tra i principali obiettivi ha quello di approfondire la ricerca sull’origine delle lune marziane.
Mmx si propone l’ambizioso obiettivo di riportare sulla Terra dei campioni di regolite prelevati dalla superficie di Fobos.
Sulla sonda verrà montato lo strumento della Nasa ‘Megane’ con il quale, mediante raggi di neutroni e gamma, verrà analizzata preventivamente la composizione chimica di vari punti della superficie di questa piccola luna, indicando così quelli migliori da cui poi si preleveranno campioni.
In vista dell’inizio di questa importante missione, il team di Jacob Kegerreis si è impegnato per i prossimi mesi ad approfondire il più possibile la nuova teoria, cercando di definirne al meglio la fisionomia, soprattutto nella fase in cui si forma l’anello di detriti.
Scoprire più dettagli possibile prima della partenza si rivelerà molto utile per istruire la sonda a prelevare i campioni più interessanti, oltre a svolgere misurazioni e analisi in maniera più mirata ed efficiente.
Immagine: Il grande cratere ‘Stickney’, che caratterizza la luna marziana Fobos, ripreso nel marzo 2008 dalla sonda Nasa Mars Reconnaissance Orbiter. Al suo interno è visibile un secondo cratere, più piccolo, chiamato ‘Limtoc’.
Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/University of Arizona