👉 Seguici anche sul nostro canale WhatsApp! 🚀

Il nostro pianeta è in continua trasformazione. Le placche tettoniche si spostano; le eruzioni, i terremoti e le inondazioni ridisegnano il paesaggio; i ghiacci sono in continuo rimodellamento. Fenomeni incessanti che esistono da miliardi di anni e plasmano la morfologia e il clima del pianeta, incidendo sul destino di interi ecosistemi e quindi sulle sorti della vita animale e vegetale.

Cambiamenti generalmente lentissimi ma inesorabili, che nell’era tecnologica gli scienziati tengono sotto costante osservazione mediante misurazioni, analisi e monitoraggi, effettuati sia dalla Terra che dallo Spazio. I dati raccolti sono certamente utili per comprendere la storia e l’evoluzione del nostro pianeta, ma servono soprattutto a individuare le dinamiche dalle quali potrebbero scaturire fenomeni di natura catastrofica che, nei casi più gravi, sono una minaccia reale all’esistenza stessa della vita umana.

Uno degli strumenti più sofisticati da impiegare in questo senso sarà presto il Nisar (Nasa-Isro Synthetic Aperture Radar), satellite nato dalla collaborazione tra l’agenzia spaziale americana Nasa e quella indiana Isro. Verrà posto in orbita nel 2025 per osservare i movimenti di quasi tutte le superfici rocciose e le masse ghiacciate terrestri, usando un radar innovativo di eccezionale precisione.

Una volta messo in orbita, a un’altitudine di 747 chilometri, il Nisar eseguirà cicli continui di scansioni della durata di 12 giorni ciascuno, riuscendo a coprire la quasi totalità della superficie terrestre.
Sarà il primo satellite a effettuare due osservazioni radar contemporaneamente, nelle larghezza di banda a microonde S e L, con una sensibilità così alta da riuscire anche a rilevare spostamenti tettonici di un centimetro. I dati del Nisar verranno correlati con quelli prodotti da satelliti già in orbita per fornire un quadro completo dei movimenti orizzontali e verticali della crosta terrestre, dei ghiacciai e delle calotte polari. Inoltre, verrà usato per monitorare l’andamento della vegetazione.

Le informazioni che il Nisar otterrà potrebbero rivelarsi cruciali per scoprire quali sono le zone del mondo più propense a generare fenomeni estremi come terremoti o eruzioni vulcaniche. Sarà utile anche per i disastri già avvenuti, come frane e smottamenti, perché potrà anticipare il comportamento della massa di terreno collassata, un valido aiuto per organizzare i soccorsi e mettere in sicurezza gli abitanti.
I due partner coinvolti nel progetto hanno poi esigenze specifiche legate alle zone del mondo in cui si trovano.
Con questo nuovo strumento gli scienziati americani avranno, infatti, un controllo più accurato della faglia californiana, mentre i colleghi indiani potranno migliorare le conoscenze su quella himalaiana, creata 50 milioni di anni fa dallo scontro della placca indiana con quella euroasiatica e che nei secoli ha scatenato numerosi terremoti dalla potenza devastante.
Infine, il Nisar sarà utile anche per monitorare grandi opere ingegneristiche, come dighe e acquedotti, valutandone lo stato delle strutture e del territorio circostante.

La missione è frutto della prima collaborazione tra agenzie spaziali per sviluppare un sistema di osservazione a distanza del pianeta. Gli Stati Uniti si stanno occupando principalmente della strumentazione di bordo, come i ricevitori Gps, l’antenna riflettore, i sistemi di comunicazione, hanno fornito il radar ad apertura sintetica e l’elettronica per la banda L.
L’India invece sarà soprattutto impegnata nel lancio e messa in orbita del satellite, del quale gestirà anche le future manovre. Inoltre, ha prodotto l’elettronica del radar ad apertura sintetica che si occuperà della banda S.

Il satellite Nisar verrà lanciato dal Centro Spaziale Satish Dhawan di Sriharikota, in India, e verrà posizionato in un’orbita quasi polare.
La missione per ora si prevede della durata di tre anni per le scansioni contemporanee in banda S e L, più altri due anni nella sola banda L.

 

Immagine in apertura: ricostruzione artistica di come sarà il Nisar una volta posizionato e dispiegato in orbita
Crediti: Nasa-Isro