👉 Seguici anche sul nostro canale WhatsApp! 🚀
A bordo della capsula Dragon appena attraccata alla Stazione Spaziale Internazionale sono stati caricati dei nuovi materiali altamente tecnologici, per verificare nei prossimi mesi la loro resistenza alle terribili condizioni degli ambienti extraterrestri. Si tratta di componenti sperimentali, realizzati in laboratorio basandosi sulle ricerche fatte da scienziati dell’Università di Bristol.
Quattro tipi diversi di polimero rinforzato con fibra di carbonio (due contengono anche nanoparticelle aggiunte), che dovranno dimostrarsi robusti quanto basta per resistere a temperature da -150 a +120 gradi centigradi, a impatti con microcorpi che viaggiano sette volte più veloci di un proiettile, a radiazioni elettromagnetiche deleterie, alle condizioni ambientali del vuoto spaziale e al famigerato ‘ossigeno atomico’.
Quest’ultimo si forma dalla dissociazione dell’ossigeno biatomico provocata dalla radiazione solare ultravioletta ed è particolarmente diffuso nell’orbita bassa terrestre, ma anche nell’alta atmosfera di alcuni pianeti, in una forma facilmente reattiva. L’ossigeno atomico è un problema noto da lungo tempo e che riguarda praticamente qualsiasi oggetto posto in orbita bassa, condannato a subire la sua costante azione di logoramento scaturita dalla capacità di rompere i legami chimici delle superfici.
I materiali di ultima generazione sono stati portati sulla Iss per entrare in diretto contatto con l’azione deleteria del vuoto, così da verificare sul campo il loro grado di resistenza. Saranno quindi presto sistemati in appositi contenitori che verranno poi montati sulla piattaforma ‘Bartolomeo‘, un laboratorio esterno della Stazione Spaziale realizzato da Airbus e gestito dall’Esa, dove resteranno esposti per i prossimi 12-18 mesi, compiendo circa 9000 orbite a una velocità media di 27.600 chilometri orari.
Se si dimostreranno sufficientemente resistenti alle condizioni estreme, come previsto, potranno essere scelti come materiali per realizzare le strutture, le paratie e la strumentazione di navette, sonde, astronavi, satelliti, orbiter e stazioni spaziali di prossima generazione.
Maggiore resistenza significa più durevolezza, quindi longevità , fattore che consentirebbe agli esseri umani di restare nel vuoto cosmico per periodi molto più estesi di quelli attuali, e cioè poter soggiornare nello Spazio per tempi notevolmente più lunghi, affrontare viaggi interplanetari verso mete sempre più lontane.
La prima caratteristica di cui si attende un riscontro positivo infatti è la capacità di schermare il più possibile le radiazioni ionizzanti, la cui lunga esposizione è nociva e persino letale per gli esseri umani e la strumentazione di bordo. Un problema che al momento limita fortemente l’esplorazione spaziale nel suo grande disegno, perché di fatto rende impraticabili i viaggi verso i pianeti più lontani, per non parlare della permanenza prolungata in avamposti e colonie su corpi celesti non protetti da campi magnetici, come la Luna o Marte.
Un limite che va assolutamente superato sfruttando la tecnologia dei materiali, come puntualizza il professor Ali Kandemir, ricercatore senior dell’Università di Bristol e attualmente finanziato dall’agenzia spaziale britannica Uksa per studiare gli effetti nocivi delle radiazioni cosmiche sui materiali: «Puntiamo a creare componenti capaci di sopportare l’ambiente spaziale e soprattutto adatti a proteggere gli esseri umani dalle radiazioni».
Non solo, Kandemir guarda anche alla possibilità che questi nuovi prodotti siano riciclabili o riutilizzabili, magari più volte: «Vogliamo che questi nuovi materiali siano sostenibili, così da poter essere riusati quando raggiungono il termine del loro ciclo utile, magari impiegandoli nuovamente con le finalità precedenti».
All’Università di Bristol hanno lavorato cinque anni per ingegnerizzare questi nuovi composti, avvalendosi del supporto di molti studiosi a vari livelli. Accanto a ingegneri aerospaziali e docenti infatti, hanno partecipato anche giovani ricercatori e laureandi, che renderanno questi prototipi il tema centrale delle loro prossime tesi.
Foto: Pannelli contenenti campioni di materiali di vario genere montati sul modulo ‘Bartolomeo’, all’esterno della Stazione Spaziale, per vedere come si comportano al contatto diretto e prolungato con il vuoto cosmico. I nuovi polimeri appena giunti sulla Iss verranno sperimentati con lo stesso sistema.
Crediti: Nasa