Il premio Nobel 2024 per la fisica è stato assegnato l’8 ottobre congiuntamente all’americano John Hopfield e al britannico Geoffrey Hinton per le loro ricerche che, in modo separato, hanno permesso lo sviluppo del machine learning.
Come si legge nelle motivazioni del Comitato Nobel, il premio arriva “per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali”, ossia le architetture artificiali di tipo neurale che hanno l’obiettivo di emulare il funzionamento delle reti neurali biologiche.
John Hopfield e Geoffrey Hinton possono quindi essere considerati a tutti gli effetti i padri dell’Intelligenza Artificiale (IA), tecnologia che si basa proprio su queste innovative metodologie che imitano il funzionamento del cervello e che sta rivoluzionando la scienza e la vita quotidiana ma anche il mondo dello spazio.
In effetti, l’Intelligenza Artificiale è già decollata nello spazio: alcuni dei grandi vantaggi che questa tecnologia sta fornendo negli ultimi anni alle attività spaziali riguardano l’autonomia dei robot, l’ottimizzazione delle traiettorie interplanetarie, una nuova capacità di elaborazione dei dati – garantendo così l’interoperabilità tra diversi strumenti e missioni – e un nuovo supporto per la gestione delle missioni da Terra.
Per scoprire nel dettaglio come l’Intelligenza Artificiale stia facendo evolvere ciascuno di questi settori fondamentali per l’esplorazione robotica e umana dello spazio abbiamo intervistato Marco Di Clemente, responsabile del servizio ‘Sviluppi Tecnologici e Progettazione Spaziale’ dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Come funziona e qual è in generale l’apporto dell’Intelligenza Artificiale alle attività spaziali?
«Ad oggi siamo in una fase in cui l’Intelligenza Artificiale è applicata soltanto in casi molto limitati. L’obiettivo generale è quello di rendere le missioni spaziali più autonome durante la loro vita operativa, rispetto all’intervento o la presenza umana dell’uomo sia nello spazio che a terra.
Di fatto, un po’ tutte le tecniche di Intelligenza Artificiale si basano su una fase di apprendimento della rete neurale che viene sottoposta a una fase di training, Un po’ come quando un bambino, all’inizio, apprende attraverso la supervisione di qualcun altro, capendo cioè che ciò che ha davanti è un frutto perché c’è qualcuno che glielo dice. Una fase di apprendimento anche della rete neurale fino a quando avrà una capacità di riconoscimento, ossia confluire in una nuova in una fase, ora non più di training, ma di sfruttamento delle capacità che ha compreso, per una comprensione autonoma del mondo circostante.
Quello che ora stiamo cercando di fare è rendere queste capacità accessibili a una missione spaziale che di per sé ha delle problematiche, delle peculiarità ovviamente da tenere in considerazione».
A che punto siamo concretamente nell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nelle missioni spaziali: è ancora in fase di sviluppo o qualcosa è stato già testato? «Ci sono già state delle dimostrazioni in orbita delle capacità dell’Intelligenza Artificiale nelle missioni. Dobbiamo però fare un grosso distinguo: ad esempio, con una missione spaziale che osserva la Terra io posso utilizzare l’intelligenza artificiale per interpretare l’immagine che sto vedendo, quindi per riconoscere se nell’immagine ci sono strade, ponti o un fiume quindi le caratteristiche quell’immagine. Esempi di questo tipo di applicazioni dell’Intelligenza Artificiale al riconoscimento delle immagini sono stati già fatti. In questo caso, un eventuale prestazione non ottimale dell’Intelligenza Artificiale non crea di per sé un problema alla missione, quindi utilizzo questa tecnica in quello che vengono definite attività non critiche.
Diverso il caso se ad esempio volessi fare un docking, un contatto tra la mia navicella spaziale e un’altra o la stazione spaziale: qui devo poter riconoscere i punti di ancoraggio e un errore o una non corretta interpretazione dell’immagine creerebbe seri problemi alla missione, soprattutto in caso di presenza umana. Questo tipo di operazioni non sono ancora state testate sfruttando l’Intelligenza Artificiale».
Che cosa permette di ottenere l’Intelligenza Artificiale rispetto a missioni precedenti che non sfruttavano questa tecnologia? «Soprattutto risparmio di risorse che possono essere risorse di bordo, computazionali, ma possono essere anche risorse umane che lavorano a terra. Nell’esempio dell’Osservazione della Terra, se un satellite che ha un sensore ottico, quindi una fotocamera, scatta una foto della Terra, tramite l’Intelligenza Artificiale io posso capire già a bordo del satellite se nella foto scattata ci sono delle nuvole che rendono invisibile il mio target a terra. In questo caso, questa foto potrebbe essere scartata subito, quindi senza salvarla nella memoria del satellite e non occupare spazio; oppure si può evitare di fare il download a terra dell’immagine liberando così la banda per scarica le immagini veramente interessanti.
Inoltre, posso scaricare non tutta l’immagine ma solo l’informazione che mi interessa. Se devo localizzare una nave in mezzo al mare, non serve che scarico l’immagine con la nave ma potrei limitarmi semplicemente alle coordinate della nave se riuscissi a capire già a bordo del satellite dove questa si trova.
La gestione autonoma delle immagini è un ambito dove l’Intelligenza Artificiale permetterà di fare un cambio importante proprio nel modo in cui è gestita e concepita una missione. Questo avrà ricadute anche in ciò che riguarda l’esplorazione robotica sulla Luna o su un pianeta come ad esempio Marte. Ad oggi un rover viene di fatto guidato e comandato da terra, tramite un processo che ovviamente ha un problema di tempo di trasferimento: l’intelligenza artificiale non risolverà solo questo delay ma permetterà di ottimizzare la permanenza del rover su un altro pianeta, rendendolo autonomo nel riconoscimento degli ostacoli e della via migliore da poter percorrere».
Oltre all’automazione, un altro ambito dove l’Intelligenza Artificiale è promettente è quello che riguarda l’elaborazione dei dati scaricati dai satelliti in orbita. Quali dati nello specifico sono interessati? «Non solo i dati di Osservazione della Terra ma anche il dato fornito dal satellite sul suo stato di funzionamento. Questi dati vengono scaricati a terra e vengono analizzati per capire se il satellite sta funzionando come atteso. Ci sono dei casi in cui, rispetto un certo parametro, possono essere messi delle soglie di alert; ad esempio se la temperatura in un certo punto sale sopra un certo valore, un alert avvisa l’operatore di analizzare con attenzione quello specifico caso.
Innanzitutto, tutto questo potrebbe essere automatizzato e questo lo fa l’Intelligenza Artificiale, e soprattutto lo può fare a bordo del satellite e non a terra, rendendo molto più reattivo l’intervento. Non devo aspettare che scarico il dato a terra, che può avvenire magari dopo un po’ di minuti o qualche ora, lo posso fare subito a bordo; posso quindi isolare il problema, perché potrei spegnere l’unità specifica che riscontra il problema e potrei mettere il satellite in una condizione di sicurezza.
Ma soprattutto potrei abilitare quella che viene chiamata manutenzione predittiva: ad esempio, nel caso della temperatura, io posso rendermi conto prima che la soglia venga superata che qualche cosa sta andando non come atteso.
Io posso addestrare la mia rete su quello che è il comportamento atteso dalle mie unità e quindi la rete può riconoscere il comportamento anomalo prima che diventi un problema. Una tecnica di elaborazione dei segnali, delle migliaia dei dati che i satelliti ci forniscono che risulta quindi fondamentale soprattutto nel caso delle costellazioni costituite da altrettante migliaia di satelliti».
L’Intelligenza Artificiale avrà o ha già un ruolo anche per quanto riguarda l’ottimizzazione delle traiettorie interplanetarie? «Questa è un’altra possibile applicazione dell’Intelligenza Artificiale cioè quella di poter autonomamente guidare il satellite attraverso la definizione di un target, di una meta. Anche in questo caso sono in corso delle sperimentazioni.
Il satellite è in grado di capire dove si trova perché vede dove sono le stelle fisse di riferimento e quindi riesce a posizionarsi nello spazio e da lì capire quali sono ad esempio i comandi per poter andare nella direzione in cui si trova il target iniziale.
Questo diventa fondamentale specialmente per le traiettorie interplanetarie perché queste sono missioni tipicamente molto lunghe e quindi il costo dell’operatore a terra o la necessità di guidare questa missione per parecchi mesi o anni di crociera ha un peso rilevante; quindi avere questa capacità autonoma è un qualcosa che può sicuramente abilitare e aiutare nell’esplorazione dello spazio profondo.
Ci sono anche in questo caso delle delle sperimentazioni in corso, ci sono delle missioni che adottano queste capacità, magari per un tempo limitato, poi c’è una fase di controllo. Insomma, si procede per gradi anche in questo senso».
Può parlarci di qualche missione che già adotta, anche solo in parte, questa ottimizzazione delle traiettorie? «Nel caso di ASI, c’è una missione che si chiama Lumio che avrà come compito quello dell’esplorazione lunare; è una missione realizzata con un piccolo satellite proposta dal Politecnico di Milano ed è attualmente in sviluppo. Tra i vari esperimenti che compierà questa missione c’è anche un esperimento di guida, navigazione e controllo del sistema in modo autonomo».
In alto: i due vincitori (Crediti: Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach)
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