Uno dei quesiti finora aperti per i fisici solari è da dove provenga l’energia che riscalda e accelera il vento solare, il flusso di particelle cariche espulso dal Sole e che investe i pianeti del Sistema solare.
La sonda Solar Orbiter di Esa, allineandosi con le osservazioni della sonda Parker Solar Probe di Nasa, ha ora fornito i dati per una prima risposta a questo decennale interrogativo: l’energia necessaria per alimentare questo flusso in uscita proviene da oscillazioni su larga scala del campo magnetico del Sole, note come onde di Alfvén. La ricerca è stata pubblicata su Science.
Il vento solare non è del tutto omogeneo: esso è composto da un flusso che corre nello spazio a più di 500 km al secondo, il cosiddetto vento solare ‘veloce’, e un altro che viaggia a meno di 500 km al secondo, detto per questo vento solare ‘lento’. Tuttavia anche la componente più rapida esce dalla corona del Sole con velocità inferiori, per poi essere accelerato quando si allontana.
Grazie a un allineamento tra satelliti effettuato nel 2022 lungo lo stesso flusso di vento solare, la sonda Esa Solar Orbiter e la navicella Parker Solar Probe di Nasa, situate rispettivamente a 89 milioni di km e a 9 milioni di km dal Sole al momento delle rilevazioni, hanno ora fornito la prova definitiva su quale sia il motore dell’accelerazione del vento solare ‘veloce’. Grazie al campionamento dello stesso flusso di vento solare in fasi diverse del suo viaggio dal Sole, ossia a distanza di due giorni, le due sonde hanno permesso l’analisi di quattro quantità energetiche chiave, tra cui una misura dell’energia immagazzinata nel campo magnetico, chiamata flusso di energia d’onda.
Nel campo magnetico si possono, infatti, formare particolari onde, chiamate onde di Alfvén, in grado di immagazzinare energia e trasportarla in modo efficiente all’interno del plasma. Confrontando le letture di Parker con quelle di Solar Orbiter delle diverse quantità energetiche identificate, il team è riuscito quindi a rilevare la differenza del flusso di energia d’onda tra le misurazioni delle due sonde.
Quelle più vicine al Sole effettuate da Parker hanno rivelato che circa il 10% dell’energia totale del vento solare era immagazzinata nel campo magnetico. Un dato che diminuisce drasticamente all’1% nelle misurazioni effettuate sullo stesso flusso da Solar Orbiter, quando era invece vicino all’orbita di Venere. Le misurazioni della sonda Esa hanno inoltre rivelato che il plasma lungo il suo viaggio aveva accelerato e, allo stesso tempo, si era raffreddato più lentamente del previsto. Confrontando i dati raccolti dalle due sonde, il team ha scoperto che l’energia magnetica persa dalle onde di Alfvén era coerente con l’energia cinetica e termica aggiuntiva acquisita dal plasma lungo il viaggio da Parker a Solar Orbiter.
Secondo i ricercatori, i responsabili di questo specifico salto nell’accelerazione e nel riscaldamento del vento solare veloce sarebbero le grandi deviazioni delle linee di campo magnetico del Sole, chiamate switchback. Queste specifiche oscillazioni, che rientrano tra le onde di Alfvén, sono state osservate per la prima volta negli anni ’70. Ma è solo grazie alla sonda Parker Solar Probe (nel 2021 il primo satellite a volare nella corona solare) che il tasso di osservazione degli switchback è aumentato drasticamente. Queste misure hanno rilevato che gli switchback si trovano principamente in gruppo.
“Questo nuovo lavoro mette insieme con competenza alcuni grandi pezzi del puzzle solare. Sempre di più, la combinazione dei dati raccolti da Solar Orbiter, Parker Solar Probe e altre missioni ci mostra che diversi fenomeni solari lavorano insieme per costruire questo straordinario ambiente magnetico”, afferma Daniel Müller, Project Scientist di Esa per Solar Orbiter.
La missione Solar Orbite di Esa è frutto della collaborazione con Nasa e del fondamentale contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana.