Da rifiuti a reperti che attestano una particolare fase delle esplorazioni condotte dall’umanità: è questa la nuova prospettiva con cui dovrebbero essere considerati i manufatti di numerose missioni esplorative abbandonati sul suolo di Marte. Ne sono convinti gli antropologi che hanno dedicato a questo tema uno studio appena pubblicato su Nature Astronomy. L’indagine, che ha coinvolto anche geologi e archeologi, è stata coordinata dall’Università del Kansas.
Il gruppo di lavoro si è basato sul presupposto che la diffusione dell’Homo Sapiens è entrata in una nuova fase: gli esseri umani, partiti dall’Africa, hanno poi raggiunto gli altri continenti e successivamente hanno iniziato a rivolgersi verso altri mondi, Luna in primis. Marte, il nostro ‘vicino’ planetario, da anni è al centro di progetti di esplorazione che, in futuro, contemplereanno anche la presenza dell’uomo. Il Pianeta Rosso, dai primi anni ’70, è stato oggetto di numerose missioni esplorative che, con i loro materiali, hanno contributo a creare un insieme di testimonianze storiche in loco: i ricercatori stimano che, sino al 2022 compreso, sulla superficie di Marte siano sparsi circa 9.979 chilogrammi di frammenti relativi a tali missioni.
Secondo il team della ricerca, i luoghi del pianeta in cui sono avvenuti gli atterraggi o, in casi più sfortunati, gli schianti e i malfunzionamenti dovrebbero essere considerati come siti archeologici, data la ricchezza di oggetti ad essi associati: sonde, lander, rover e frammenti di varia natura tra cui si possono citare i paracadute, le protezioni termiche e i pezzi delle ruote in alluminio lasciati dai rover (ad esempio, quelli delle ruote di Curiosity della Nasa).
Tra i siti ‘archeologici’ marziani, secondo gli antropologi, alcuni rivestono una particolare importanza storica nell’esplorazione planetaria e più che mai i loro materiali andrebbero considerati come reperti: ad esempio, i luoghi dove ora si trovano il lander Viking 1 della Nasa, che è stato il primo a operare con successo su Marte e Ingenuity, il primo elicottero a volare su un altro pianeta.
La comunità scientifica tende a liquidare questi resti e frammenti come spazzatura; gli antropologi non solo ritengono che siano testimonianze storiche, ma anche un patrimonio da tutelare. Si tratta di materiali che attestano tappe fondamentali nella storia dell’esplorazione planetaria e che dovrebbero essere protetti dall’azione degli agenti esterni che su Marte consistono essenzialmente in radiazioni cosmiche, vento solare e interazioni con la sabbia e il ghiaccio. Ad esempio, le tempeste globali di sabbia che periodicamente investono il Pianeta Rosso possono seppellire dei reperti interessanti, facendoli sparire per sempre: è il caso del rover Spirit della Nasa, che si trova vicino a un insidioso campo di dune e rischia di essere seppellito.
«Questi manufatti sono molto simili alle asce preistoriche dell’Africa orientale o alle punte di Clovis in America – ha dichiarato Justin Holcomb, antropologo dell’Università del Kansas e primo autore dello studio – Rappresentano la prima presenza e, da una prospettiva archeologica e sono punti chiave nella nostra cronologia storica delle migrazioni».
In alto: la mappa che illustra i principali siti di Marte connessi alle missioni esplorative (Crediti: J. Holcomb et alii, Nature Astronomy 2024)