È il più grande nel folto entourage di satelliti naturali che ‘accompagna’ Saturno, tanto da superare per dimensioni anche il pianeta Mercurio, e sulla sua superficie sono presenti delle strutture che ricordano delle isole: si tratta di Titano, la luna scoperta nel 1655 dall’astronomo olandese Christian Huygens, che torna alla ribalta per uno studio dedicato appunto a queste enigmatiche ‘isole’.

La ricerca, coordinata dal Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università del Texas-San Antonio, è stata pubblicata su Geophysical Research Letters (articolo: “The Fate of Simple Organics on Titan’s Surface: A Theoretical Perspective”) e si è basata su simulazioni informatiche e sui dati di Cassini, la sonda Nasa-Esa-Asi che ha studiato il complesso sistema di Saturno. La missione di Cassini, che ha vantato un significativo contributo italiano, è terminata il 15 settembre 2017 ma il suo archivio continua a fornire una vasta messe di preziosi dati alla comunità scientifica.

Nello specifico, Cassini ha individuato per la prima volta le isole di Titano nel 2014, scrutando attraverso la foschia che avvolge questo corpo celeste. Queste strutture, apparse come punti brillanti che spiccavano sui laghi di metano ed etano, hanno subito suscitato l’interesse della comunità scientifica anche per la loro natura elusiva. Sono state formulate numerose teorie in merito, che possono essere suddivise tra quelle che considerano le isole solo come entità effimere e quelle che invece le ritengono una realtà concreta.

Il team della ricerca, propendendo per l’effettiva esistenza delle isole, ritiene che esse siano spezzoni porosi di materiali organici congelati. Queste sostanze, strutturate a nido d’ape, si sarebbero accumulate a seguito di precipitazioni dai cieli di Titano. Gli scienziati, quindi, hanno centrato la loro attenzione sulle interazioni tra l’atmosfera del corpo celeste – ricca di metano – e di altre molecole organiche e i laghi e le dune di materiale organico presenti sulla sua superficie. Infatti, la parte superiore dell’atmosfera di questo satellite naturale è molto densa e le sue molecole sono in grado di creare grumi, congelarsi e poi scendere sulla superficie sotto forma di una specie di neve.

Il gruppo di lavoro, quindi, ha verificato – tramite modelli informatici – se questa ‘neve’ si potesse dissolvere al contatto con Titano o meno: secondo gli studiosi, la natura dei laghi della luna – saturi di molecole organiche – ne impedisce lo scioglimento. Il passo successivo, quindi, è stato verificare se questi materiali rimanessero a galleggiare in superficie o se sprofondassero repentinamente. In un primo momento, i risultati delle simulazioni suggerivano un rapido affondamento della ‘neve’; tuttavia, i ricercatori hanno notato che se i cumuli di materiale sono di dimensioni consistenti e porosi come la pomice possono galleggiare per qualche tempo. Il processo è simile a quanto avviene, sulla Terra, per gli iceberg.

Grazie a queste simulazioni, infine, gli autori del saggio hanno individuato una possibile spiegazione per la bonaccia che caratterizza i laghi di Titano, dove si formano onde di pochi millimetri: il fenomeno sarebbe dovuto a un sottile strato di materiali solidi che fa mantenere la ‘calma’ a questi bacini.

In alto: elaborazione artistica della superficie di Titano (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Usgs)