Aggiornamento del 26 marzo 2024 a cura della Redazione

L’Esa ha fornito ulteriori dettagli sulla procedura effettuata per sbrinare le ottiche di Euclid. I team della missione sono stati impegnati a lungo per individuare il percorso migliore da seguire, soprattutto per non interferire con la calibrazione degli strumenti e per non rischiare un’eventuale, ulteriore contaminazione. Euclid ha recuperato la ‘vista’ dopo che il suo primo specchio è stato riscaldato di soli 34 gradi (da -147°C a -113°C): infatti, i tecnici hanno quasi subito riscontrato che il satellite stava ricevendo il 15% in più di luce dall’Universo. Gli scienziati ritengono che lo ‘sguardo’ di Euclid possa di nuovo offuscarsi in futuro, ma ora possono contare su una procedura collaudata che non interferisce pesantemente sulla tabella di marcia della missione.

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Un attento e graduale processo di riscaldamento delle sue componenti controllato da Terra. È il piano di successo attuato da Esa per ripristinare la visione di Euclid, satellite lanciato il 1° luglio 2023 per studiare la materia e l’energia oscura dell’universo. La missione vede il ruolo fondamentale dell’Italia attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana, l’Istituto Nazionale di Astrofisica,  l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e molte università.

Una volta nello spazio, sugli specchi delle ottiche del satellite Euclid si è formato, infatti, un sottilissimo strato di ghiaccio a causa delle temperature siderali dell’ambiente cosmico.
Questa patina ghiacciata, dallo spessore di poche decine di nanometri, ossia quanto la larghezza di un filamento di Dna, si è generata per il congelamento delle molecole d’acqua rilasciate da alcune componenti del satellite. Questo è un problema comune a molti veicoli spaziali che accumulano acqua durante l’assemblaggio sulla Terra, assorbendola dall’aria circostante. Tuttavia, nel caso di Euclid, l’inconveniente potrebbe compromettere la missione, visto che la sua alta sensibilità, necessaria per osservare miliardi di galassie fino a 10 miliardi di anni luce, ha rilevato questo strato infinitesimo sugli specchi con l’inevitabile diminuzione della capacità di raccogliere la luce proveniente dalle sorgenti celesti.

Durante la fase di calibrazione degli strumenti, il team di Euclid si è reso conto che lo strumento Vis (Visible Instrument) accusava una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce catturata. Il declino dei fotoni in arrivo è stato riscontrato confrontando le osservazioni di stelle dalla luminosità costante effettuate da Euclid in momenti diversi o dalla missione Gaia di Esa, comprendendo così che lo strato di ghiaccio stava impattando sulle ottiche di Euclid.

Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid hanno proseguito, il team ha quindi elaborato un piano per capire esattamente dove si trovasse il ghiaccio nel sistema ottico, con l’obiettivo di sviluppare una strategia efficace di sbrinamento sia ora sia per il futuro, se il problema dovesse ripresentarsi.
La via più semplice per Esa poteva essere quella di riscaldare l’intero veicolo spaziale tramite la procedura di decontaminazione sviluppata molto prima del lancio. Il team di controllo è infatti in grado di inviare da Terra i comandi per accendere tutti i riscaldatori di bordo, portando così la temperatura da circa -140 °C fino a -3°C, in alcune parti della navicella.
Tuttavia un riscaldamento dell’intera struttura meccanica del veicolo spaziale avrebbe portato i materiali che lo compongono a espandersi tutti insieme, rischiando così un disallineamento ottico del satellite e dunque di doverlo ricalibrare nuovamente, perdendo poi diverse settimane di osservazione.

Per limitare gli sbalzi termici, Esa ha quindi optato per un processo graduale riscaldando individualmente le parti ottiche a basso rischio della navicella, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altri strumenti. La strategia coinvolge prima due degli specchi di Euclid che possono essere riscaldati indipendentemente per poi allargarsi in seguito nel caso in cui il calo di fotoni persistesse e iniziasse ad avere un impatto sulle osservazioni. Dopo i primi due specchi indipendenti vengono quindi coinvolti anche altri gruppi di specchi del satellite, verificando per ogni volta la percentuale di fotoni restituiti.

Anche se Esa non ha ancora diffuso i dettagli specifici della procedura concretamente avviata, questa strategia, eseguita per la prima volta dal team di Euclid, si è rivelata vincente portando il team di controllo a eliminare da Terra il ghiaccio dalle ottiche compromesse e a ripristinare la visione del satellite.

«Tutto il team di Euclid era molto in ansia per lo svolgimento di questa procedura – afferma Elisabetta Tommasi, responsabile per Asi dell’accordo stipulato con i numerosi enti di ricerca italiani impegnati in Euclid – La preoccupazione è dovuta alla possibilità che sia necessario molto tempo per eseguire la decontaminazione e, visto che ancora non si sa quante volte bisognerà ripeterla, c’è il rischio di un forte impatto sui tempi della survey. Dopo questo primo intervento, i segnali sono davvero incoraggianti, anche se c’è molto lavoro da fare per capire bene il comportamento degli strumenti durante il riscaldamento degli specchi e valutare le future azioni».

Euclid realizzerà, in circa sei anni di osservazioni, una mappa 3D su larga scala del cosmo nello spazio e nel tempo, su oltre un terzo del cielo. La missione esplorerà il modo in cui l’Universo si è espanso e come si è formata la struttura nel corso della storia cosmica, rivelando maggiori informazioni sul ruolo della gravità e sulla natura dell’energia oscura e della materia oscura.

Immagine in evidenza: rappresentazione artistica del satellite Euclid. Crediti: Esa