Le piattaforme di ghiaccio (ice shelf) dell’Antartide hanno subìto una drastica riduzione del 40% del loro volume in 25 anni. È il pesante riscontro rivelato da una nuovo studio coordinato dalla Scuola della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Leeds, mirato a indagare le condizioni di salute di queste tavole ghiacciate che si spingono fin sulla superficie dell’oceano e che si estendono sulla maggior parte delle aree costiere dell’Antartide.

La ricerca, pubblicata su Science Advances (articolo: “Annual mass budget of Antarctic ice shelves from 1997 to 2021”), si è basata sui dati di vari satelliti. Gli studiosi hanno preso in considerazione un arco temporale compreso tra il 1997 e il 2001: per gli anni più recenti hanno utilizzato i dati del satellite CryoSat-2 dell’Esa e della costellazione Sentinel-1 del programma europeo Copernicus, mentre i periodi più lontani nel tempo sono stati impiegati i dati di archivio di tre missioni Esa, Ers-1, Ers-2 ed Envisat. Le immagini radar analizzate per lo studio sono state oltre 100mila.

L’Antartide è circondata da 162 piattaforme glaciali, che costituiscono l’estensione delle calotte (ice sheet) che ricoprono il continente. Le piattaforme si comportano come un gigantesco ‘tappo’ alla fine dei ghiacciai, in modo da rallentare il movimento dei flussi di ghiaccio nel mare; per questo motivo le loro condizioni sono costantemente monitorate. Ben 71 piattaforme su 162, dal 1997 al 2001, hanno subito una pesante riduzione del loro volume che si è tradotta nel rilascio netto di 7,5 trilioni di tonnellate di acqua di fusione nell’oceano.

La perdita di ghiaccio è particolarmente concentrata sulle coste occidentali del ‘continente bianco’, mentre le piattaforme delle coste orientali sono riuscite a mantenersi stabili e, in alcuni casi, ad accrescere il loro volume. Nel corso dei 25 anni presi in esame, gli studiosi hanno rilevato che sono finite negli oceani circa 67 trilioni di tonnellate di ghiaccio; questa immensa quantità è stata però compensata da 59 trilioni di tonnellate di ghiaccio che hanno fatto crescere parte delle piattaforme, per cui la perdita netta – tradottasi in acqua dolce – è stata appunto pari a 7,5 trilioni.

Le coste occidentali sono esposte a correnti marine calde che possono rapidamente erodere le piattaforme dal basso, mentre quelle orientali sono protette da flussi di acqua fredda; infatti, la vastità del continente antartico fa sì che le sue coste sperimentino condizioni climatiche diverse, anche per quanto riguarda i venti. I danni maggiori sono stati rilevati sulla piattaforma Getz Ice Shelf, che in 25 anni ha perduto 1,9 trilioni di tonnellate di ghiaccio: le perdite sono state dovute essenzialmente allo scioglimento, solo il 5% può essere attribuito a distacchi. Al contrario, l’Amery Ice Shelf, che si trova sulla costa est, ha guadagnato 1,2 trilioni di tonnellate grazie all’azione delle correnti marine fredde.

La riduzione delle piattaforme – spiegano gli autori del saggio – può avere conseguenze pesanti per il delicato ecosistema dell’Antartide e, più in generale, per la circolazione oceanica che trasporta calore e sostanze nutrienti. Infatti, l’acqua dolce rilasciata dal ghiaccio diluisce quella marina, rendendola più leggera e indebolendo così le correnti.

L’andamento delle piattaforme è soggetto a cicli stagionali, ma la loro riduzione va attribuita soprattutto alla crisi climatica. Il nuovo studio, secondo il gruppo di lavoro, fornisce delle linee guida che potranno essere proficuamente utilizzate per ulteriori attività di monitoraggio con le future missioni polari Cristal, Cimr e Rose-L, espansioni del programma Copernicus.

In alto: la Getz Ice Shelf vista da Sentinel-1 (Crediti: contiene dati di Copernicus Sentinel modificati – 2023 – processati da Esa)

Il video che illustra l’andamento delle piattaforme antartiche (Crediti: Esa/Planetary Visions)