È la massa d’acqua più fredda e densa presente sulla Terra, si trova nell’Oceano Antartico e svolge un ruolo cruciale nel regolare due caratteristiche dei mari, ovvero la conservazione del calore e l’assorbimento del carbonio: si tratta dell’Acqua di fondo dell’Oceano Antartico (Aabw, Antarctic Bottom Water), che sta vivendo una fase difficile a causa della crisi climatica.

L’Aabw è al centro di un nuovo studio di Nature Climate Change (articolo: “Slowdown of Antarctic Bottom Water export driven by climatic wind and sea-ice changes”); l’indagine, coordinata da Bas-British Antarctic Survey, è stata svolta da un team internazionale di cui fa parte il ricercatore italiano Alessandro Silvano, ora in forze all’Università di Southampton.

Gli scienziati si sono basati su dati relativi a lunghe serie temporali, utilizzando sia osservazioni condotte in situ, sia dati satellitari; nello specifico sono stati impiegate le informazioni raccolte dal radiometro Amsr-E (Advanced Microwave Scanning Radiometer for Earth Observing Satellite), installato a bordo del satellite Aqua della Nasa. Questo strumento, ora non più operativo, ha misurato vari parametri geofisici per monitorare il cambiamento climatico; tra di essi, figurano la temperatura delle superfici marine, il vapore acqueo oceanico, la copertura nivale e l’andamento del ghiaccio marino.

Dall’analisi di questo insieme da dati gli studiosi hanno notato che l’Aabw non gode di una salute ottimale: questa massa d’acqua, infatti, si sta restringendo e riscaldando. È stato preso in considerazione soprattutto il Mare di Weddell su cui si affaccia il quadrante nordovest dell’Antartide e che è considerato uno dei più grandi ‘produttori’ di acqua di fondo: negli ultimi 30 anni, in questo mare, l’acqua di fondo si è ristretta del 20%, mentre quella più superficiale si è riscaldata a un ritmo 5 volte più alto rispetto ai valori globali degli oceani.

Gli autori del saggio ritengono che questo scenario sia connesso a dei cambiamenti a lungo termine verificatisi nei venti e nel ghiaccio marino. Infatti, in condizioni normali, i venti spingono il ghiaccio formatosi da poco lontano dalla sua piattaforma, creando zone ‘aperte’ per lo sviluppo di ulteriore ghiaccio; tuttavia, l’indebolimento delle correnti d’aria ha ridotto le dimensioni di queste aree vuote nella copertura glaciale, causando un rallentamento nella formazione di nuovo ghiaccio. Questo processo è stato notato nella piattaforma Filchner-Ronne, situata nella parte meridionale del Mare di Weddell.

Quando il ghiaccio comincia a formarsi, inoltre, lascia dietro di sé il sale, contribuendo alla creazione dell’acqua di fondo densa e fredda; ora, invece, la carenza di acque ricche di sale ha innescato il restringimento delle acque di fondo. Infine, i ricercatori hanno rilevato interazioni tra schemi atmosferici su vasta scala, che mettono in connessione l’Oceano Pacifico tropicale e l’Oceano Antartico: questi fenomeni hanno causato dei cambiamenti nei venti che spirano sull’Oceano Antartico, provocando una riduzione delle folate sul Mare di Weddell che poi si è tradotta in una minore formazione di ghiaccio marino.

Le conseguenze di tali processi, secondo gli studiosi, sono di vasta portata: in particolare, l’oceano può perdere la sua capacità di assorbire il carbonio dovuto alle attività umane e gli ecosistemi degli abissi rischiano di rimanere senza ossigeno.

In alto: il mare di Weddell visto da Landsat 8 (Crediti: Nasa Earth Observatory, Joshua Stevens – dati Landsat da Usgs) – l’immagine nelle sue dimensioni originali a questo link

In basso: i fenomeni descritti nello studio (Crediti: Nature Climate Change)