Un vero e proprio slow motion per rivivere attimo dopo attimo l’impatto di un asteroide sulla Terra. È l’esperimento messo in atto dalla Università di Jena, in Germania, per simulare le pressioni estreme subite dalla roccia terrestre a seguito di uno scontro cosmico.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, rivela come si modifica la struttura cristallina del quarzo per la compressione derivata dall’impatto con un asteroide, risolvendo così un mistero vecchio di 60 anni.

Gli asteroidi urtano anche la Terra. Eppure, a differenza della Luna e Marte, il nostro Pianeta non mostra dallo spazio i segni di queste collisioni. I crateri da impatto terrestri sono infatti cancellati nel corso dei millenni dalla tettonica a placche, fenomeno assente sul nostro satellite e sul Pianeta Rosso.
Le prove di antiche collisioni sono, tuttavia, ricercabili nei minerali della regione terrestre su cui l’impatto è avvenuto. Questi, infatti, subiscono dei mutamenti nella loro struttura cristallina a causa della violenta compressione a cui sono sottoposti durante l’urto di un asteroide.

Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (Tem) di un disco di quarzo.
L’immagine mostra abbondanti lamelle microscopiche subite dalla compressione. Crediti: Otzen et alter

La sabbia di quarzo, per esempio, viene gradualmente trasformata in vetro con i grani di quarzo attraversati da microscopiche lamelle. Queste strutture, indagabili in dettaglio solo al microscopio elettronico, sono dunque le tracce che da decenni ci indicano dove sulla Terra sia avvenuto un impatto con un asteroide.
Un indicatore affidabile che si poggia però su un mistero da tempo irrisolto: come queste strutture lamellari si formano.

Per scoprirlo, i ricercatori dall’Università di Jena si sono affidati a un dispositivo chiamato cella a incudine di diamante: questa macchina permette di comprimere un campione roccioso tra due diamanti a forma di tronco, esercitando così una grande quantità di forza in modo controllato su una piccola area. La pressione ottenuta risulta enorme, ricreando condizioni simili a quelle al centro della Terra o nell’impatto di un asteroide.

I ricercatori hanno studiato i cambiamenti nella struttura cristallina del quarzo aumentando sempre di più la pressione su singoli piccoli cristalli. Durante l’esperimento i cristalli sono stati attraversati dai raggi X emessi da Petra III, una delle sorgenti di raggi X ad anello di accumulazione più luminose al mondo, situata nei laboratori del Desy (German Electron Synchrotron).

Per permettere l’indagine a raggi X, la compressione è stata, inoltre, effettuata al rallentatore ma sulla scala di pochi secondi, in modo tale da far verificare gli effetti tipici di un impatto con un asteroide ma allo stesso tempo da poterli studiare.

«Abbiamo osservato che a una pressione di circa 180.000 atmosfere, la struttura del quarzo si è improvvisamente trasformata in una struttura di transizione più compatta, che abbiamo definito simile alla rosiaite – afferma il primo autore Christoph Otzen – In questa struttura cristallina, il quarzo si riduce di un terzo del suo volume. Le caratteristiche lamelle si formano proprio nel punto in cui il quarzo passa alla cosiddetta fase metastabile, che nessuno prima di noi era riuscito a identificare nel quarzo».

Una volta annullata l’enorme pressione esercitata sul quarzo, i ricercatori hanno osservato che le lamelle simili al minerale rosiaite non ritornano alla struttura originale del quarzo, piuttosto collassano in lamelle di vetro con una struttura disordinata. Questo caos, riscontrabile anche nei grani di quarzo provenienti da depositi di impatti di asteroidi, fornisce informazioni fondamentali sull’urto subito. Dalla quantità e dall’orientamento delle lamelle disordinate si può comprendere, per esempio, quanto sia stata elevata la pressione generata dalla collisione con l’asteroide.

La prevista evoluzione del Petra III del Desy nel migliore microscopio a raggi X del mondo, il Petra IV, non può che alimentare le aspettative dei ricercatori per le loro future indagini.
«Un’intensità di raggi X 200 volte superiore ci permetterà di eseguire questi esperimenti 200 volte più velocemente, in modo da poter simulare l’impatto di un asteroide in modo ancora più realistico», conclude il coautore della ricerca Hanns-Peter Liermann.

 

Immagine in evidenza: Illustrazione artistica di un grande impatto da asteroide. Queste enormi collisioni possono fondere quantità significative di materiale dalla crosta terrestre. Crediti: Nasa/ Don Davis