Un mondo ghiacciato, distante e ancora in parte sconosciuto, che sinora ha ricevuto solo la breve ‘visita’ della sonda Voyager 2 della Nasa il 24 gennaio del 1986: si tratta di Urano, il settimo pianeta del Sistema Solare, che torna sotto i riflettori per uno studio relativo alla eventualità che quattro lune del suo entourage possano ospitare oceani al di sotto della crosta ghiacciata.

La ricerca – basata sia sui dati della sonda e di telescopi di terra che su modelli informatici – è stata pubblicata su Journal of Geophysical Research – Planets (articolo: “Compositions and Interior Structures of the Large Moons of Uranus and Implications for Future Spacecraft Observations”); l’indagine è stata coordinata dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa e, tra i vari enti partecipanti, ha visto il coinvolgimento del Massachusetts Institute of Technology.

Urano ha una ‘corte’ di 27 lune e, secondo il gruppo di lavoro, quattro di esse – le più grandi – potrebbero ospitare degli oceani in una fascia compresa tra il nucleo e la superficie ghiacciata: sono Ariel, Umbriel, Titania e Oberon. Gli studiosi sono partiti da revisione dei dati d’archivio di Voyager 2, abbinandovi nuovi modelli informatici, e hanno indagato l’evoluzione della struttura e della composizione interna di questi satelliti naturali. In particolare, Titania (la ‘regina’ del quartetto, con un diametro di 1580 chilometri) dovrebbe essere in condizioni di immagazzinare il calore necessario per riuscire a mantenere un oceano sub-superficiale senza che l’acqua si congeli; questo ‘bollore’ interno è dovuto essenzialmente al decadimento radioattivo, mentre il caldo connesso alla forza gravitazionale di Urano contribuisce solo in minima parte.

Gli scienziati hanno creato i modelli informatici per questa ricerca impiegando anche i dati di alcune missioni di esplorazione planetaria – come Galileo, Cassini, Dawn e New Horizons – che hanno osservato mondi oceanici. In particolare, il team si è centrato sul profilo chimico e sulla geologia di Encelado, Caronte e Cerere che hanno dimensioni simili a quelle delle lune citate sopra.

Con queste simulazioni il gruppo di lavoro ha misurato il livello di porosità della crosta di questi corpi celesti, scoprendo che hanno un sufficiente grado di ‘coibentazione’ per trattenere il calore interno a un livello adeguato a ospitare un oceano. Inoltre, è stata individuata un’altra sorgente di temperature elevate nel mantello roccioso delle lune: esso rilascerebbe liquido caldo e potrebbe contribuire a mantenere un ambiente oceanico con temperature sufficienti per avere potenziali condizioni di abitabilità. Questo scenario è ritenuto probabile per Titania e Oberon.

Inoltre, analizzando la composizione degli oceani, gli scienziati possono ricavare ulteriori dettagli relativi alla superficie ghiacciata dei quattro satelliti naturali: il loro profilo chimico, infatti, è collegato alle sostanze che vengono emesse dagli strati sottostanti in seguito ad attività geologica. Dai dati dei telescopi di terra emerge che almeno una delle lune considerate – Ariel – presenta materiale che è traboccato in superficie in tempi relativamente recenti, forse eruttato da un criovulcano.

Il calore interno, comunque, non è il solo fattore che può contribuire alla formazione di un oceano sub-superficiale. Lo studio, infatti, suggerisce che la presenza di cloruri e ammoniaca dovrebbe essere abbondante in questi mari: tali sostanze, specie l’ammoniaca, avrebbero agito come una sorta di ‘antigelo’.

Gli autori del saggio sono consapevoli che rimangono ancora tanti interrogativi aperti su queste lune; tuttavia, ritengono che il loro lavoro schiuda nuovi scenari di ricerca verso il sistema di Urano, ritenuto meritevole di una missione dedicata.

In alto: Urano ‘visto’ dal Keck Observatory (Crediti: Lawrence Sromovsky, University of Wisconsin-Madison/W.W. Keck Observatory)