Ogni sistema di difesa ha la sua falla. Ciò vale anche per la magnetosfera, lo scudo che protegge la Terra dal vento solare. Il flusso di particelle cariche espulse dal Sole è, infatti, in grado di spingersi all’interno della barriera magnetica terrestre. Prove di questa violazione sono gli uragani spaziali, immensi vortici grandi fino a 40.000 km che vengono alimentati proprio dal plasma solare.
I ricercatori dell’Embry-Riddle Aeronautical University hanno monitorato il fenomeno degli uragani spaziali analizzando un intero ciclo solare (11 anni) attraverso i dati delle missioni Themis (Time History of Events and Macro scale Interactions during Substorms) e Mms (Magnetospheric Multiscale) di Nasa.
Lo studio, i cui risultati sono pubblicati su Nature Communications, ha rilevato che la frequenza con cui si manifestano gli uragani spaziali aumenta in primavera e in autunno, con un picco in prossimità degli equinozi, mentre diminuisce in estate e in inverno, scomparendo quasi in prossimità dei solstizi.
La ricerca ha individuato nell’inclinazione del dipolo magnetico terrestre il fattore determinante da cui dipende tale evoluzione, quindi la capacità del vento solare di insinuarsi nella magnetosfera terrestre. Questo scudo risulta dunque come un colabrodo stagionale.
Quando il vento solare investe il nostro pianeta incontra la resistenza dello scudo magnetico terrestre. Non potendo penetrare direttamente questa barriera, il flusso di particelle cariche si muove fragorosamente attraverso la magnetosfera. Tale interazione crea il fenomeno delle onde di Kelvin-Helmholtz, instabilità da cui si sviluppano gli spettacolari vortici spaziali che si ergono fino a 15.000 km. Queste onde di rottura possono, tuttavia, generare anche regioni ricche di radiazioni pericolose per la salute degli astronauti e la sicurezza delle comunicazioni satellitari.
Ecco perché conoscere l’evoluzione degli uragani spaziali può fornire informazioni fondamentali per prevedere gli effetti dello space weather sulla magnetosfera, a tutela di astronauti e tecnologie.
Fino a oggi, la variabilità dell’attività geomagnetica è stata spiegata principalmente tramite l’effetto Russell-McPherron, ossia la connessione fisica tra il campo magnetico terrestre e il campo magnetico solare trasportato nello spazio dal vento solare. Da questa interazione, viene spiegato, ad esempio, il fenomeno delle aurore boreali.
Ora, la nuova ricerca introduce il ruolo determinante dell’inclinazione del dipolo magnetico terrestre, verso o lontano dal Sole, spiegando tramite esso la maggior parte delle variazioni stagionali dell’instabilità all’interno della magnetosfera, quindi l’evoluzione degli uragani spaziali dai picchi registrati durante gli equinozi ai bruschi cali dei solstizi.
Immagine in evidenza: l’attività delle onde di Kelvin-Helmholtz nella magnetosfera terrestre, con un picco in primavera e in autunno (equinozi) e una diminuzione in estate e in inverno (solstizi). Crediti: S. Kavosi e H. Nykyri / Embry-Riddle Aeronautical University