Le collisioni tra oggetti celesti nello spazio possono provocare l’espulsione di materiale che può essere rilevato nel corso del tempo, anche a grandi distanze. Secondo uno studio condotto dal Dipartimento di Astronomia dell’Università di Tokyo, queste polveri cosmiche possono essere analizzate per individuare la presenza di eventuali microrganismi ed elementi, provenienti da sistemi planetari distanti dal nostro. Lo studio è stato pubblicato sull’International Journal of Astrobiology.

Tuttavia, le distanze enormi e le radiazioni presenti nello spazio riducono di molto le possibilità di imbattersi in questo tipo di materiale. Il team di Tokyo ha stimato che circa 100.000 granelli di dimensione superiore a 1 micrometro potrebbero giungere sulla Terra ogni anno.

Questi elementi potrebbero essere ben conservati all’interno del ghiaccio in Antartide o nei fondali degli oceani. Le polveri presenti in questi luoghi potrebbero essere recuperate in modo relativamente semplice; la difficoltà sta nella capacità di distinguere il materiale proveniente da mondi extrasolari da quello che ha avuto origine nel Sistema Solare. In questo caso, le missioni spaziali che utilizzano l’aerogel per catturare la polvere interstellare, una sorta di schiuma solida che contiene il 99,8 percento di aria, potrebbero rappresentare la soluzione ideale. Nel febbraio del 2011 la sonda Stardust della Nasa ha utilizzato proprio l’aerogel per raccogliere campioni di polvere della coda della cometa Wild 2 per riportarli a terra.

«Spero che la ricerca possa suscitare l’interesse di scienziati che lavorano in diversi campi – conclude  Tomonori Totani, autore principale dello studio – per poter andare alla ricerca di vita su altri pianeti in modo sempre più approfondito ».

 

Immagine in apertura:  campioni di polveri cosmiche individuate nella nostra atmosfera. Crediti: 2023 Nasa-cc-0