Il buco dell’ozono si sta chiudendo. A dichiararlo è l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) all’interno del report Scientific Assessment of Ozone Depletion pubblicato lo scorso 16 gennaio.
Fondamentale protezione per la Terra dalla radiazione solare, la sfida per la salvaguardia dello strato di ozono è dunque ufficialmente sulla strada verso la vittoria.
36 anni dopo il Protocollo di Montreal, l’accordo internazionale del 1987 finalizzato a limitare in atmosfera le sostanze chimiche nemiche dell’ozono, la nuova valutazione scientifica dell’Omm afferma che il suo strato potrebbe addirittura guarire completamente entro quattro decenni.
Eppure, lo stesso rapporto mette in guardia su alcune tecnologie sfruttate nelle missioni spaziali e aeree che potrebbero ritardare in futuro il processo di guarigione.
Queste sono le mega-costellazioni satellitari, i razzi spaziali e gli aerei supersonici.
Entro il 2030 il numero di satelliti in orbita attorno alla Terra potrebbe decuplicarsi, passando dagli attuali 6.000 operativi ai 58.000 previsti da un recente rapporto del Government Accountability Office degli Stati Uniti.
Un aumento che causerebbe direttamente il moltiplicarsi dello space debris, risultando così allo stesso tempo una reale minaccia per l’ozono atmosferico. I satelliti, infatti, sono realizzati con metalli come l’alluminio e il titanio ma contengono anche altre sostanze potenzialmente tossiche: queste vengono rilasciate dai vecchi satelliti non più operativi quando bruciano durante la loro fase di rientro nell’atmosfera terrestre. La combustione dell’alluminio sprigiona, infatti, gli ossidi di alluminio, già collegati in passato alla distruzione dell’ozono.
Secondo due ricerche commissionate da Esa per conoscere l’impatto ambientale della morte dei satelliti in disuso, è stato dimostrato che dalla loro combustione deriverebbe un impatto concentrato nella mesosfera e nell’alta stratosfera, pur essendo significativo nel lungo termine e solo nelle regioni polari. La concentrazione locale di ozono in Antartide potrebbe cioè diminuire di circa lo 0,05%, tuttavia decisamente minore all’impatto sull’ozono derivato dalle attività antropiche terrestri.
Il rilascio di sostanze inquinanti è l’aumento delle missioni è un connubio problematico che caratterizza anche i razzi spaziali. Ritenuti la causa solo dello 0,1% circa della distruzione dell’ozono rilevabile dal rapporto dell’Omm, anche in questo caso l’esplosione numerica delle missioni nei prossimi anni preoccupa molto per le conseguenze indirette sullo stato di salute dell’ozono.
Una recente ricerca della National Oceanic and Atmospheric Administration (Nooa) statunitense ha rilevato che un aumento di dieci volte della quantità di fuliggine da combustibile fossile iniettata nella stratosfera, attualmente 1.000 tonnellate all’anno, causerebbe, dopo 50 anni, un aumento della temperatura annuale in quello strato atmosferico da 0,5 a 2 gradi Celsius. Un surriscaldamento che degraderebbe anche lo strato protettivo di ozono.
Il problema potrebbe essere risolto dallo sviluppo di nuovi sistemi di propulsione per razzi che consumano carburanti presumibilmente più ecologici, come l’idrogeno e il metano. Tuttavia è ancora sconosciuta agli scienziati quale interazione avrebbero i fumi di scarico di questi nuovi motori con gli strati superiori dell’atmosfera terrestre.
Infine, anche gli aerei supersonici rappresentano una minaccia all’ozono: volando a più di 18,3 chilometri dalla superficie terrestre, essi rilasciano sostanze inquinanti nella bassa stratosfera dove risiede lo strato protettivo di ozono. Il rapporto dell’Omm stima che, se l’aviazione supersonica dovesse entrare nel circuito generale, le sue emissioni potrebbero ridurre la colonna di ozono totale fino al 10%. Un rischio dettato da una ripresa degli interessi ai velivoli supersonici 20 anni dopo il disastro del Concorde, tragico incidente del 2000 che decretò la fine del trasporto civile supersonico.
«Sono in fase di sviluppo nuovi velivoli supersonici e ipersonici che possono rilasciare vapore acqueo e ossidi di azoto nella stratosfera – ha dichiarato a Space.com Paul Newman, scienziato capo per le scienze della Terra presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, che ha collaborato al rapporto dell’Omm – Al momento non ce ne sono abbastanza, ma in futuro, se iniziassero a volare migliaia di questi aerei nella stratosfera, potrebbero avere un effetto significativo».
Immagine in evidenza: Massima estensione annuale del buco dell’ozono dal 1979. Crediti: Cams