Dopo aver mostrato le tracce mineralogiche di un vulcanismo lunare ancora attivo fino a due miliardi di anni fa, i campioni della missione Chang’e-5 rivelano ora il meccanismo grazie al quale la Luna è riuscita a mantenere il calore sufficiente a guidare un vulcanismo così tardivo, seppur in fase di raffreddamento.
La risposta arriva da un nuovo studio guidato dal Professore Chen Yi dell’Istituto di Geologia e Geofisica dell’Accademia Cinese delle Scienze (Iggcas), secondo il quale l’abbassamento del punto di fusione del mantello dovuto alla presenza di componenti fusibili e facilmente fondibili avrebbe innescato un vulcanismo giovane sul nostro satellite.
Pubblicati su Science Advances, i risultati della ricerca potranno aiutare gli scienziati planetari a comprendere meglio l’evoluzione termica e magmatica della Luna.

Prelevati oltre 45 anni dopo l’ultimo campionamento di materiale dalla nostro satellite, i campioni lunari della missione Chang’e-5 hanno rivelato, circa un anno fa, la loro prima caratteristica fondamentale: quella di avere un’età di circa 2 miliardi di anni, ossia molto più giovani dei frammenti portati a Terra dalle missioni Apollo di Nasa e dal programma sovietico Luna. Tutti con un’età di oltre 3 miliardi di anni, questi primi campioni lunari hanno fatto supporre per decenni che la Luna fosse geologicamente morta da allora.

Un pensiero smontato recentemente dall’analisi spettroscopica dei nuovi campioni di Chang’e-5: pubblicata su Nature Communications, questa attuale ricerca ha rivelato componenti mineralogiche nella superficie della Luna corrispondenti a un’attività vulcanica più recente e riconducibile a circa 2 miliardi di anni fa.
Eppure sul nostro satellite roccioso, il calore che ha alimentato l’attività vulcanica dovrebbe essersi perso molto prima di queste eruzioni tardive.

Ora, il nuovo studio guidato da Chen Yi ha individuato il motore di questo giovane vulcanismo:
«La recente fusione del mantello lunare può essere ottenuta sia aumentando la temperatura sia abbassando il punto di fusione. Per comprendere meglio questo problema, dovremmo stimare la temperatura e la pressione in cui si è creato il giovane vulcanismo», ha dichiarato il Chen Yi.

Il team di ricercatori ha condotto una serie di simulazioni di cristallizzazione frazionata e di fusione del mantello lunare per confrontare 27 preziosi frammenti di basalto da Chang’e-5 con lo stesso tipo di materiale prelevato dalle missioni Apollo. Lo studio ha rivelato che il giovane magma di origine Chang’e-5 ha un contenuto più elevato di ossido di calcio e di biossido di titanio rispetto ai magmi Apollo più vecchi.

Questi elementi altamente fusibili presenti nei cumuli dell’oceano magmatico lunare dell’ultima fase si sarebbero spostati all’interno della Luna attraverso il movimento gravitazionale del mantello. L’aggiunta di questi componenti fusibili negli strati lunari più interni potrebbe aver ridotto efficacemente la temperatura di fusione del mantello e quindi innescato il giovane vulcanismo lunare.

«Abbiamo scoperto che il magma Chang’e-5 è stato prodotto a profondità simili, ma 80 gradi Celsius più freddo rispetto ai magmi Apollo più vecchi. Ciò significa che il mantello lunare ha subito un lento e prolungato raffreddamento di 80 gradi Celsius da circa 3 miliardi di anni a 2 miliardi di anni fa», ha dichiarato Bin Su, primo autore della ricerca.

Il lavoro presenta così le prove a sostegno dell’abbassamento del punto di fusione del mantello come primo meccanismo valido per spiegare il vulcanismo giovane sulla Luna, compatibile con i campioni Chang’e-5 appena restituiti.

Immagine in evidenza: analisi dei campioni lunari Chang’e-5 con un microscopio elettronico a scansione presso l’Iggcas. Crediti: Su Bin