Si trova nella nube molecolare del Toro-Auriga, ad una distanza di 450 milioni di anni luce, e ha destato l’interesse degli astronomi per alcune sue caratteristiche che la rendono un ‘laboratorio’ ideale: si tratta di Gm Aurigae, una giovane stella che è ritenuta di grande rilievo per studiare com’era il Sole nella sua fanciullezza e quindi come si è originato il nostro sistema planetario.
Il baby astro è al centro di uno studio appena pubblicato su Nature (articolo: “Measuring the density structure of an accretion hot spot”) e basato sia su dati derivanti da campagne di osservazione (effettuate con Hubble, Tess, Swift e alcuni telescopi di terra), sia su modelli informatici; l’indagine è stata condotta da un gruppo di ricercatori statunitensi e coordinata dal Dipartimento di Astronomia dell’Università di Boston.
L’infanzia della nostra stella è un tema che presenta molti interrogativi ancora aperti: gli autori del saggio ritengono di aver ricavato informazioni utili a chiarire la situazione dall’analisi di Gm Aurigae, che presenta un punto caldo (hot spot) dalla forma inconsueta.
Quando un astro bambino comincia a ‘muovere i primi passi’, si ciba dei gas e delle polveri che gli ruotano vorticosamente intorno nel disco protoplanetario. Successivamente, le particelle di questi materiali colpiscono la superficie della stella nel processo di accrescimento (accretion); anche il Sole, sostengono gli studiosi, ha seguito questo iter. I dischi protoplanetari si trovano all’interno di nubi molecolari magnetizzate, strutture note per costituire un fertile terreno per la nascita di nuovi astri. Si è ipotizzato che i dischi e le stelle siano collegati da un campo magnetico e che le particelle ne seguano le linee sino alla stella; quando tali corpuscoli si scontrano con la superficie dell’astro in crescita si formano dei punti caldi nelle aree focali del processo di accrescimento.
Il team della ricerca, nelle osservazioni di Gm Aurigae, ha verificato l’accuratezza degli attuali modelli di accrescimento sviluppati per prevedere la formazione dei punti caldi. Finora questi modelli informatici si sono basati su algoritmi che calcolano come la struttura dei campi magnetici spinga le particelle provenienti dai dischi protoplanetari a schiantarsi contro punti specifici sulla superficie delle stelle in crescita; i dati utilizzati per lo studio supportano questi calcoli.
Gm Aurigae compie una rotazione completa in una settimana circa; in questo arco di tempo, i suoi livelli di luminosità dovrebbero variare a seconda della posizione in cui si viene a trovare il suo hot spot più brillante rispetto alla Terra. Tuttavia, nell’analisi dei dati, gli studiosi si sono trovati davanti ad una situazione inaspettata: le lunghezze d’onda della luce emessa dalla stella non sembravano raggiungere il picco contemporaneamente. La luce ultravioletta, infatti, risultava al suo massimo splendore con un giorno di anticipo.
Gli astronomi, temendo di essere incappati in un errore, hanno controllato ripetutamente i dati e così hanno scoperto che il punto caldo in questione non è del tutto uniforme e ha un’area al suo interno che è persino più calda di tutto il resto. E’ stato notato, inoltre, che questo hot spot ha una forma irregolare: non è perfettamente circolare, ma è simile ad un arco che presenta una porzione più calda e densa. Questo aspetto peculiare spiega il disallineamento nei dati relativi alle lunghezze d’onda, un fenomeno mai riscontrato in precedenza in questo tipo di strutture.
Gli studiosi ritengono che i punti caldi siano una sorta di ‘impronta’ creata dal campo magnetico sulla superficie stellare. In un remoto passato, il Sole doveva presentare dei punti caldi concentrati in quelle aree dove si stava cibando di materiale del disco protoplanetario.
I dischi, concludono i ricercatori, finiscono per svanire, lasciando dietro di sé i corpi celesti e gli oggetti cosmici che costituiscono un sistema; ci sono ancora prove del disco protoplanetario che ha alimentato il nostro Sistema Solare nella fascia degli asteroidi e nei vari pianeti. Lo studio del comportamento delle stelle agli albori della vita, come Gm Aurigae, può essere quindi la chiave per approfondire al meglio il passato del sistema che ci ospita.
In alto: la stella Gm Aurigae nell’atto di cibarsi del materiale del proprio disco protoplanetario (Crediti: M. M. Romanova).