La scoperta di cianobatteri in grado di raccogliere la luce nel vicino infrarosso ha cambiato il paradigma secondo cui la fotosintesi ossigenata è guidata solo dalla luce visibile ed esclusivamente dalla clorofilla.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers, è stato guidato dall’italiana Daniela Billi, dell’università di Roma Tor Vergata, dipartimento di Biologia, e dimostra la capacità su un ceppo appartenente al  genere Chroococchidiopsis, che abita le rocce desertiche, di modificare il suo apparato fotosintetico anche solo con luce nello spettro invisibile vicino all’infrarosso.

La ricerca, condotta nell’ambito del progetto Vita nello spazio, esamina la capacità di acclimatazione di alcuni ceppi tra i 10 selezionati, isolati da cinque deserti in tutto il mondo, e scopre che non tutti tra questi campioni isolati da diverse comunità desertiche, presenta capacità di crescita. I ceppi selezionati sono stati coltivati ​​sotto luce rossa lontana (Frl) e luce bianca (Wl) e testati per la crescita, le caratteristiche del pigmento fotosintetico e la presenza del gene apcE2 del rosso lontano.

Dopo 14 giorni di incubazione con luce vicino all’infrarosso, solo il ceppo Ccmee 010 ha mostrato una crescita cellulare rispetto all’inizio dell’esperimento. Nessun aumento della densità cellulare, e quindi di crescita, è stato osservato negli altri nove ceppi.

La sorpresa per gli scienziati è stato scoprire che ceppi isolati dallo stesso microambiente, dallo stesso deserto, presentassero reazioni così diverse nella foto acclimatazione non comuni tra i cianobatteri che popolano le rocce terrestri.

La scoperta, importante per il settore disciplinare della Biologia, lascia il posto a implicazioni di notevole interesse per il settore dell’astrobiologia. Infatti, le stelle di tipo M, il più comune tipo di stella nella galassia, hanno uno spettro luminoso che raggiunge il picco nel lontano rosso e nell’infrarosso. Alcuni potrebbero essere orbitati da pianeti simili alla Terra e qualsiasi forma di vita fotosintetica che potenzialmente li abita, utilizzerebbe probabilmente queste lunghezze d’onda per sopravvivere.

Questi studi sono fondamentali per la ricerca della vita oltre la Terra, e aggiungono un importante tassello alle conoscenze nel settore dell’astrobiologia. L’astrobiologia è infatti un settore su cui l’Agenzia Spaziale Italiana sta puntando molto negli ultimi anni.

Una gradevole coincidenza ha infatti voluto che l’articolo della Professoressa Billi sia stato pubblicato proprio lo stesso giorno in cui l’Asi ha pubblicato il bando per il finanziamento dell’attività di ricerca astrobiologica per i prossimi anni.

«Questo bando è frutto del lavoro portato avanti dall’Asi, che ha riunito la comunità scientifica italiana che afferiva alle diverse discipline scientifiche astrobiologiche, tra cui la biologia, la geologia, la chimica e la fisica. L’obiettivo era creare un team di scienziati unito che potesse affrontare le future sfide dell’esplorazione umana nello spazio. L’organizzazione da parte di Asi di un workshop italiano di astrobiologia ha consentito di creare un gruppo di lavoro forte e coeso, che ha partecipato alla stesura di una roadmap dell’astrobiologia italiana che guiderà la ricerca nel settore per la prossima decade.» ha affermato Claudia Pacelli, ricercatrice Asi.

La ricerca è stata finanziata da ASI, Inaf e dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft nel settore dell’astrobiologia.

In apertura: rappresentazione artistica del sistema di Trappist-1. Crediti: Eso/N. Bartmann/spaceengine.org