Corpi celesti dal clima infernale come Venere e fasce abitabili: due elementi in contraddizione ma non più di tanto, secondo uno studio accettato per la pubblicazione su Planetary Science Journal (articolo: “The Outer Edge of the Venus Zone Around Main-Sequence Stars”).
L’indagine, disponibile al momento in anteprima sulla piattaforma arxiv.org, è stata condotta da un gruppo di lavoro internazionale, che ha visto il coordinamento della Howard University di Washington e il coinvolgimento del centro Goddard della Nasa.
I ricercatori si sono basati su un modello informatico con cui hanno analizzato l’evoluzione dell’atmosfera su corpi celesti con caratteristiche analoghe a quelle di Venere; il modello in questione è l’Atmos 1D, di cui è stata usata la componente climatica.
Il punto di partenza dello studio risiede nella posizione di Venere che, pur essendo notoriamente inospitale, rispetto al Sole si trova nella fascia ritenuta abitabile dagli attuali standard (Goldilocks region). Infatti, in base al semplice criterio relativo all’ammontare della luce solare che raggiunge un corpo celeste, il secondo pianeta del nostro sistema planetario rientra in tale fascia. Gli studiosi si sono quindi chiesti quanti mondi analoghi potrebbero esistere in simili collocazioni e hanno dato il via alle simulazioni.
Venere e la Terra hanno dimensioni affini e, secondo una teoria corrente, avrebbero avuto inizialmente un percorso comune: questo cammino, a un certo punto, si sarebbe interrotto per Venere, che avrebbe imboccato una strada del tutto differente, assumendo i connotati con cui la conosciamo oggi.
Non è ancora chiaro a cosa si deve la trasformazione del pianeta. La metamorfosi potrebbe essere connessa a fenomeni di vulcanismo di lunga durata oppure a processi legati all’evoluzione del Sole: in ogni caso, su Venere si è sviluppato un intenso effetto serra che ha alterato pesantemente le sue condizioni iniziali.
Nell’andare a caccia di mondi potenzialmente vivibili, gli autori del saggio hanno cercato una linea di demarcazione tra i mondi simili alla Terra e quelli simili a Venere: la ricerca è avvenuta tramite il modello informatico con cui sono state prese in considerazione sia le atmosfere planetarie, sia il tipo di radiazione che i pianeti potrebbero ricevere da diverse categorie di stelle.
Il team ha quindi creato un pianeta ‘di partenza’ con un’atmosfera caratterizzata da una miscela di gas come quella della Terra e poi ha lentamente incrementato la quantità di biossido di carbonio per simulare l’avvento dell’effetto serra. In un secondo momento, gli studiosi hanno ‘lasciato evolvere’ il modello per verificare cosa sarebbe successo alla composizione chimica dell’atmosfera con il trascorrere del tempo.
L’esito del test ha sorpreso il gruppo di lavoro: i mondi simili a Venere sarebbero molto più comuni di quanto ritenuto e addirittura ampie porzioni della zona abitabile sarebbero off-limits per lo sviluppo della vita. Tuttavia, la complessità di un sistema planetario – sostengono gli studiosi – non può essere inquadrata in maniera schematica perché esistono tanti fattori che possono cambiare il destino di un pianeta ‘Venus-like’, come l’azione di un campo magnetico o l’attività tettonica.
Questo filone di studi, per comprendere cosa effettivamente sia successo a Venere e cosa potrebbe verificarsi su mondi analoghi, potrà giovarsi delle future missioni Nasa ed Esa destinate a questo pianeta: rispettivamente, Veritas ed EnVision. Ambedue le missioni vedono un significativo coinvolgimento del nostro Paese, grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Crediti immagine: Nasa