Abbassarsi lentamente in atmosfera per poi tuffarsi nell’Oceano Pacifico.
Questa è la fine che la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) dovrà affrontare nel gennaio 2031 secondo il nuovo piano di transizione per la scienza in orbita bassa pubblicato dalla Nasa lo scorso 31 gennaio.

L’Agenzia statunitense si è impegnata a mantenere la stazione in orbita fino al 2030. Ma, anche se si è parlato spesso di un futuro privato della Iss, di fatto la Nasa ha messo in conto la sua operatività solo fino al 2028. Ecco che, con questo nuovo piano di transizione, la fine corsa della Iss è ormai inevitabile, data la vita utile limitata della sua struttura primaria.

Dunque nel 2031, quando avrà alle spalle 33 anni di onorato servizio in orbita terrestre bassa, la Iss concluderà la sua epopea al punto Nemo, il cimitero dei veicoli spaziali nell’Oceano Pacifico. Qui riposano satelliti defunti e stazioni spaziali non più operative come la russa Mir. Distante 2.700 chilometri dalla terraferma, il punto Nemo è conosciuto anche come ‘Polo oceanico dell’inaccessibilità’, data la totale mancanza di attività umana nelle zone limitrofe.

La manovra di deorbita della Iss, il più grande oggetto artificiale che abbia mai occupato l’orbita terrestre bassa, si preavvisa, infatti, come un’ultima grande prova contrassegnata da rischi e possibili imprevisti, primo fra tutti il pericolo di caduta incontrollata di alcune sue parti; proprio così avvenne nel 1979 con la stazione spaziale Skylab della Nasa, la prima e unica stazione spaziale Usa la cui fine fu segnata da una caduta fuori controllo.

Assemblata nello spazio a partire dal 1998 e costituita attraverso 42 lanci separati, la Iss finale, secondo quanto riporta Nasa, risulterebbe sulla Terra di un peso pari a 420 tonnellate. Troppo per far sì che la Stazione possa bruciare completamente durante la sua caduta in atmosfera. Inoltre, i pannelli solari che firmano il suo peculiare ‘design’ potrebbero aumentare le difficoltà nel controllare la Stazione durante la sua brusca discesa a spirale.

Per evitare rischi e sorprese la Nasa ha delineato uno ‘scenario nominale’ in cui si prevede l’abbassamento dell’altitudine operativa della Iss entro la fine del 2030 e, in seguito, l’allineamento sopra l’area intorno al punto Nemo.

L’accensione di rientro dell’Iss, con lo scopo di fornire la spinta finale per abbassarsi il più possibile e assicurare un ingresso sicuro nell’atmosfera, verrà effettuata utilizzando le capacità di propulsione della Stazione e dei suoi veicoli in visita. Secondo lo scenario Nasa, la procedura complessiva di deorbita richiederebbe l’ausilio di veicoli extra oltre al regolare traffico che la Stazione registra abitualmente. La stima è la necessità di 3 veicoli spaziali russi Progress, anche se la Nasa sta valutando se la navicella Cygnus di Northrop Grumman potrebbe essere in grado di assistere la complessa manovra dato l’ampliamento delle sue capacità di propulsione.

Intanto, mentre delinea la fase finale della Iss, la Nasa ha firmato accordi con tre aziende private, Blue Origin, Nanoracks LLC e Northrop Grumman Systems Corporation, per lanciare stazioni spaziali commerciali utilizzabili sia da aziende private che da astronauti dell’Agenzia. Le previsioni vedono la loro operatività entro la fine di questo decennio, pronte, dunque, per assistere dall’alto al grande tuffo in mare della Iss.

Prospettive e sviluppi che evolveranno durante questo ultimo decennio di attività per quella che è stata la casa dell’umanità nello spazio: la Iss è, infatti, nata dalla partnership tra Stati Uniti, Russia, Canada, Giappone e le nazioni partecipanti dell’Agenzia Spaziale Europea, progetto immenso a cui l’Italia ha fornito il 40 per cento del volume abitabile.

 

Immagine in evidenza: la Stazione Spaziale Internazionale (crediti: Esa)