Da oltre 21 anni, non è passato un solo giorno senza che ci fosse un essere umano nello spazio. Questo è possibile grazie alla Stazione spaziale internazionale: era il 2 novembre 2000 quando si è aperto per la prima volta il portellone del modulo russo Zvezda e i membri dell’Expedition 1 (Sergej Krikaliev, Juri Gidzenko e William Sheperd) sono arrivati a bordo della Iss, il cui assemblaggio era iniziato due anni prima. Da allora, l’orbita bassa ha visto un susseguirsi ininterrotto di equipaggi: centinaia gli astronauti che l’hanno abitata, così come gli esperimenti che si sono potuti svolgere grazie alla microgravità. Dalla biologia alla medicina, dall’astronomia all’astrofisica, la nostra conoscenza scientifica si è ampliata moltissimo grazie alla casa orbitante.

Eppure sappiamo ormai da tempo che questa straordinaria impresa internazionale non andrà avanti in eterno. Le tre principali agenzie spaziali finanziatrici (Nasa, Roscosmos ed Esa) puntano a superare l’orbita bassa, andando verso la Luna e Marte. E la maggior parte dei contratti per il mantenimento della stazione scadrà nel 2024 – anno che ad oggi, formalmente, è considerato la data di scadenza della Iss. In realtà si parla da tempo di un prolungamento almeno fino al 2030, anche se ancora non sono stati presi accordi in tal senso.

Quel che è certo è che presto o tardi la gestione per lo più pubblica dell’orbita bassa cederà il passo a una gestione privata. Di fatto questo sta già avvenendo per quanto riguarda il trasporto verso la Iss, prima prerogativa della Soyuz russa e oggi fornito anche (e con un comfort ben maggiore) dalla Crew Dragon di SpaceX. E l’installazione di ‘stanze private’ è iniziata anche sulla Iss.

Resta però un grande punto interrogativo: che cosa succederà in mezzo a questa transizione da pubblico a privato? C’è chi punta a una privatizzazione progressiva della Iss, con un’attivazione di contratti ad hoc alle aziende interessate per l’utilizzo ed eventualmente l’ampliamento della stazione. C’è chi invece scommette su una pagina completamente nuova nella storia dell’orbita bassa, con la costruzione da zero di stazioni spaziali private.

La Nasa, principale ago della bilancia in quanto maggior contribuente, sembra ora propendere per questa seconda opzione. L’agenzia statunitense ha infatti deciso di assegnare 415,6 milioni di dollari a tre aziende per la progettazione di future stazioni spaziali private. Ad aggiudicarsi i tre Space Act Agreements sono stati Nanoracks (160 milioni), Blue Origin (130 millioni) e Northrop Grumman Systems Corporation (125,6 milioni).

La speranza è quella di trasformare in realtà almeno uno dei tre progetti entro il 2030. Si colmerà così il gap tra il pensionamento della Iss e il futuro privato dell’orbita bassa? Questo è ancora tutto da vedere. La gestione della stazione dopo il 2024 e le tempistiche per la messa in orbita della prima casa orbitante interamente privata sono due variabili essenziali.

E la posta in gioco è molto alta, come sostiene un report rilasciato qualche giorno fa dall’Office of the Inspector General (Oig) della Nasa: secondo quanto si legge nel documento, perdere l’utilizzo della Iss prima che si sia trovata una nuova soluzione operativa metterebbe a rischio l’intera economia legata all’orbita bassa che la Nasa sta costruendo da tempo.

Il rapporto dell’Oig solleva anche preoccupazioni sull’età avanzata della Iss, che potrebbe rendere sempre più difficile la manutenzione. In quest’ottica, l’assegnazione a Blue Origin, Nanoracks e Northrop Grumman dei contratti per lo sviluppo di nuove stazioni private sembra la prima risposta pratica al dilemma sul futuro della più che ventennale casa orbitante. L’anello mancante tra gestione pubblica e privata dell’orbita bassa potrebbe così essere direttamente una nuova casa spaziale. Privata dalla prima all’ultima stanza.

 

Immagine in apertura: Rendering di “Orbital Reef”, progetto per una stazione spaziale privata (Crediti: Blue Origin)