Le firme radar luminose, su cui si basa l’ipotesi di un lago di acqua liquida nel sottosuolo di Marte, potrebbero essere prodotte da un terreno superficiale privo di acqua allo stato liquido.
Ad affermarlo è l’ultima ricerca dell’Università del Texas che, simulando una fittizia copertura di ghiaccio su tutto il Pianeta rosso, suggerisce che circa lo 0,3%-2% della sua superficie potrebbe produrre riflessioni analoghe a quelle rilevate dal team tutto italiano nella scoperta del 2018.

Pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, secondo il nuovo studio questa somiglianza radiometrica rende probabile che i riflessi rilevati al Polo sud siano prodotti da una superficie asciutta simile a quella delle pianure vulcaniche molto diffuse su Marte.
Lo studio torna così ad alimentare il dibattito intorno a una delle scoperte più rilevanti sul Pianeta rosso degli ultimi anni.

Nel 2018, un team di scienziati provenienti da Asi, Inaf, Cnr e diverse Università, ha scoperto un bacino di acqua liquida e salata nelle profondità della calotta polare di Marte. ​Un lago sotterraneo e salmastro, il primo in assoluto confermato sul Pianeta rosso, rilevato grazie al radar italiano Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), strumento a bordo della sonda europea Mars Express e fornito alla missione da Asi.

La notizia, pubblicata su Science, ha avuto un’eco globale diventando successivamente oggetto di una serie di ipotesi alternative. La più scettica di queste, pubblicata a luglio 2021 su Geophysical Research Letters, sostiene che quelle firme siano prodotte dalla smectite, una sorta di argilla ottenuta quando la roccia si erode in acqua, dunque segni di una condizione umida del passato per il sottosuolo di Marte, e non attuale.
Secondo questa ipotesi alternativa, le rigidissime temperature ai poli di Marte richiederebbero, infatti, una quantità troppo abbondante di sale per ottenere acqua liquida.

Alcuni ricercatori del team italiano hanno quindi pubblicato, solo pochi giorni fa, la risposta a questi dubbi, mostrando, in un articolo su Earth and Planetary Science Letters, nuove misure di laboratorio.
«Le concentrazioni di sali necessarie per mantenere l’acqua liquida anche a basse temperature (circa 200K) sono relativamente piccole e non richiedono che le soluzioni siano ipersaline» afferma Elisabetta Mattei, Dipartimento di Matematica e Fisica, Università degli studi Roma Tre, confermando così la validità dell’ipotesi del bacino liquido nel sottosuolo marziano.

Ora, Cyril Grima, autore principale della recente ricerca dell’Università del Texas, ha aggiunto un immaginario strato di ghiaccio globale sulla mappa radar di Marte costruita sulla basa di tre anni di osservazioni di Marsis, potendo così confrontare le caratteristiche dell’intero pianeta con quelle presenti sotto la calotta polare.

Il ricercatore ha notato quindi riflessi luminosi, proprio come quelli visti al polo sud dal team italiano, sparsi lungo tutte le latitudini del Pianeta. Quelli confermati corrispondono ai territori delle pianure vulcaniche.

Grima suggerisce, così, che il segnale riscontrato potrebbe essere dovuto alla presenza di ilmenite, un minerale di ferro e titanio in grado di rendere luminose le superfici magmatiche.
Ampiamente rilevato, ad esempio, nelle pianure vulcaniche sulla Luna, secondo Grima, sarebbe necessario, dunque, uno studio integrativo che comprenda l’effetto che l’ipotetica presenza di ilmenite potrebbe avere sui segnali radiometrici rilevati dai radar, in questo caso lo strumento Marsis, dalle superfici marziane.

 

Immagine in evidenza: Una vista del polo sud di Marte (Crediti: Esa/Dlr/Fu Berlin)