Analizzando le immagini realizzate dalla sonda Juno della Nasa, un team internazionale di ricercatori, guidato dagli oceanografi dell’Università della California di San Diego, ha studiato il fenomeno dei cicloni polari di Giove attraverso la fisica dei vortici oceanici terrestri, sfruttando cioè i principi della dinamica dei fluidi geofisici.

Pubblicata su Nature Physics, la ricerca fornisce un nuovo importante sostegno all’ipotesi secondo cui i moti convettivi, quindi il rapido movimento verticale di aria calda e densa che sale per poi raffreddarsi e ridiscendere negli strati più profondi dell’atmosfera, risulterebbero il potente motore del sistema dei giganteschi vortici atmosferici gioviani. Lo studio, che vede la partecipazione di ricercatori e ricercatrici dell’Agenzia Spaziale Italiana e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, mostra quindi come i poderosi cicloni atmosferici gioviani abbiano molto in comune con i vortici presenti negli oceani della Terra.

Ci si potrebbe vedere un quadro impressionista. Le immagini realizzate da Juno, invece, hanno inspirato diversamente i ricercatori dello Scripps Institution of Oceanography, centro dell’Università della California. Le curve delle forti turbolenze atmosferiche immortalate sopra i poli di Giove, vortici con raggi fino a circa 1.000 chilometri, sono state, infatti, associate dagli oceanografi alle agitazioni nei vortici oceanici terrestri da loro studiati.

«Quando ho visto la ricchezza della turbolenza attorno ai cicloni gioviani con tutti i filamenti e i vortici più piccoli, mi ha ricordato la turbolenza che si può osservare intorno ai vortici oceanici della Terra», ha detto l’oceanografa Lia Siegelman, autrice dell’articolo.

Dettaglio della zona in prossimità del polo nord di Giove ripresa nell’infrarosso dallo strumento Jiram a bordo della sonda Juno della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Calthech/SwRI/Asi/INnaf/Jiram

La sonda Juno della Nasa, in orbita polare attorno a Giove dall’estate 2016, è il primo veicolo spaziale a fotografare i poli del pianeta più grande del Sistema Solare. Sulla base di una serie di immagini all’infrarosso, ottenute grazie allo spettrometro Jiram (Jovian Infrared Auroral Mapper), strumento supportato dall’Asi e a responsabilità scientifica di Inaf, le turbolenze polari gioviane sono state studiate attraverso i principi della dinamica dei fluidi geofisici.

Come le stelle per i navigatori, le nuvole nei vortici su Giove sono stati i riferimenti per i ricercatori.
Seguendo il loro movimento, il team ha, infatti, calcolato la velocità e la direzione del vento che alimenta i vortici.

In seguito, le immagini sono state interpretate in base allo spessore delle nubi. Questa analisi ha mostrato come le regioni calde corrispondano a nuvole più sottili, che permettono osservazioni in profondità nell’atmosfera di Giove, mentre le regioni fredde si caratterizzano per una copertura nuvolosa più spessa, che copre invece l’atmosfera gioviana.

Questi risultati hanno fornito ai ricercatori indizi sull’energia del sistema atmosferico gioviano.

Dal momento che le nuvole si formano quando l’aria più calda e meno densa sale, i moti convettivi di aria umida, ossia quando l’aria calda e meno densa sale rapidamente all’interno delle nuvole più fredde, sarebbero su piccola scala in grado di fornire energia per eventi più estesi quali i grandi cicloni circumpolari e polari. Un importante sostegno a un’ipotesi avanzata per la prima volta dopo le osservazioni dei fulmini nelle tempeste su Giove.

«Questo studio pone un altro tassello nell’intrigato puzzle che si cela dietro i misteriosi cicloni polari di Giove – sottolinea Giuseppe Sindoni, Responsabile del Progetto Juno-Jiram per Asi – I dati forniti dal nostro strumento si sono dimostrati ancora una volta fondamentali nell’interpretazione della complessa fenomenologia dell’atmosfera gioviana».

I risultati della ricerca, basata sulla sovrapposizione della fisica dei fenomeni oceanici terrestri allo studio dei vortici atmosferici gioviani, conferma così come la comprensione del sistema energetico di Giove possa fornire un’opportunità per capire più a fondo i meccanismi fisici in gioco sul nostro pianeta, oltre a rimarcare il ruolo fondamentale del contributo italiano alla missione Juno di Nasa.

«Lo studio si è basato su una serie di immagini di Jiram di eccezionale qualità, in termini di risoluzione e copertura spaziale – ha dichiarato Christina Plainaki, Ricercatrice nelle Scienze del Sistema Solare, Asi Project Scientist per l’esperimento Jiram/Juno – Tale qualità è stata possibile grazie all’attento lavoro di pianificazione delle osservazioni da parte del team scientifico italiano».

Immagine in evidenza: una moltitudine di nubi vorticose fotografate dalla sonda Juno della Nasa durante il suo 16° flyby ravvicinato di Giove del 29 ottobre 2018. (Crediti: Elaborazione di Gerald Eichstädt and Sean Doran (CC BY-NC-SA) basata su immagini fornite da Nasa/Jpl-Caltech/SwRI/Msss).