Poco luminose, scarsamente popolate di stelle e con un’esigua attività di formazione di nuovi astri: sono le galassie ultra-diffuse (Udg – Ultra-diffuse galaxy), entità decisamente sobrie, se paragonate alle loro compagne di dimensioni analoghe e dal look scintillante, ma non per questo di minore interesse.

Ne sono consapevoli gli astronomi che le ritengono un prezioso ‘laboratorio’ per indagare la materia oscura, un elemento che riveste grande rilievo nella loro struttura: le schive Udg sono protagoniste di uno studio recentemente pubblicato su Nature Astronomy (articolo: “Transforming gas-rich low-mass disky galaxies into ultra-diffuse galaxies by ram pressure”) e mirato a indagarne origini ed evoluzione. La ricerca ha coinvolto un team internazionale, che include anche rappresentanti dell’Università Lomonosov di Mosca e del Centro per l’Astrofisica Harvard-Smithsonian, e si è basata sia su osservazioni, sia su modelli informatici. Le osservazioni sono state condotte con lo spettrografo Binospec, installato sul telescopio Mmt (Arizona).

Le Udg, che spesso hanno caratteristiche simili a quelle delle galassie nane ma sono molto più estese, sono frequenti nei cluster galattici e si presentano con una vasta gamma di dimensioni e forme: alcune sono tondeggianti e armoniose, altre hanno un aspetto distorto a causa di eventi di distruzione mareale e altre ancora possono raggiungere una massa pari a centinaia di miliardi di volte quella del Sole. Sono caratterizzate dalla presenza di aloni di materia oscura e si ritiene che questo misterioso ‘ingrediente’ costituisca la maggior parte della loro massa.

Il team della ricerca ha preso in considerazione 11 galassie diffuse appartenenti agli ammassi della Chioma e Abell 2147; il gruppo, oltre ad avere i tratti salienti delle Udg, presenta una popolazione stellare la cui età media è pari a 1,5 miliardi di anni. Tutta la ‘comitiva’, inoltre, mostra tracce recenti – in termini astronomici – di ‘incontri’ poco amichevoli con altre galassie e segni di un fenomeno chiamato ‘ram pressure stripping’; esso si verifica quando le nubi di gas di questi oggetti celesti si combinano, dando luogo ad un aumento della pressione e ad un’espulsione del gas. Queste emissioni producono delle venature simili a dei tentacoli, mentre le galassie entrano in uno stato di quiescenza dato che viene meno l’ingrediente principale per la formazione di nuove stelle. Alle venature, tuttavia, sono associate tracce di recenti processi che, in un estremo exploit, hanno fatto sbocciare altri baby astri.

Gli spettri delle 11 galassie nell’ottico hanno permesso agli astronomi di modellarne la storia stellare e la cinematica. I dati hanno rivelato la presenza di dischi stellari rotanti che si ritiene siano costituiti di materia oscura fino al 95%. Gli scienziati hanno proposto uno scenario in cui queste galassie si sono formate e hanno iniziato a produrre nuovi astri circa 12 miliardi di anni fa. Successivamente, in un periodo compreso tra duecento milioni e un miliardo di anni fa, le esplosioni di formazione stellare – scatenate dal fenomeno di ‘ram pressure’ – sono state il ‘canto del cigno’ di questo processo. Quindi, la ‘ram pressure’ – secondo gli autori del saggio – avrebbe agito su queste galassie facendole gonfiare e portandole alla condizione di ultra-diffuse. Circa la metà delle Udg – concludono gli studiosi – avrebbero avuto questo percorso evolutivo.

In alto: l’ammasso della Chioma visto da Hubble (Crediti: Nasa, Esa, J. Mack – StScI) e J. Madrid – Australian Telescope National Facility)

In basso: Gmp 4348, una delle Udg analizzate nello studio (Crediti: Grishin et al. 2021)