17 crateri lunari avvolti nell’ombra sono ora osservabili nitidamente grazie all’intelligenza artificiale. Una ricerca, guidata dal Max Planck Institute for Solar System Research (MPS) in Germania, ha sviluppato un algoritmo che mostra nel dettaglio la geomorfologia di depressioni e rocce fino a 3 metri di dimensione.

Pubblicato su Nature Communications, il lavoro rappresenta un supporto fondamentale per le missioni che esploreranno le regioni polari del nostro satellite alla ricerca di acqua lunare. Qui, alcune depressioni non ricevono mai la luce del Sole; per questo si pensa possano custodire acqua allo stato solido, avendola protetta dalla radiazione solare, dunque dall’evaporazione.

Tuttavia, la notte eterna nei crateri è anche l’ostacolo più grande per la loro rilevazione fotografica. Finora, le immagini di queste depressioni sono state caratterizzate da forte rumore e bassa risoluzione, disturbi dovuti alle condizioni di buio in cui si fotografa il cratere.

La recente ricerca ha trovato una soluzione al problema: l’algoritmo di apprendimento automatico chiamato Horus. Utilizzando più di 70000 immagini scattate dal Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, l’algoritmo è in grado di distinguere le informazioni reali, il cratere lunare, dalle informazioni artefatte, lo sporco dovuto alle condizioni di ripresa con pochissima luce disponibile.
In questo modo, i ricercatori hanno ottenuto una risoluzione di circa 1-2 metri per pixel, da cinque a dieci volte superiore a quella di tutte le immagini precedentemente disponibili.

Il team si è concentrato sui crateri relativamente piccoli e accessibili, circondati da dolci pendii. Tre di questi sono compresi all’interno dell’area di atterraggio da poco annunciata del rover lunare Viper della Nasa, che arriverà sulla Luna nel 2023 per la prima missione di mappatura delle risorse su un altro corpo celeste.
Le immagini elaborate dall’algoritmo Horus non forniscono però prove della presenza di acqua congelata nella profondità dei crateri, facendo presumere che questa possa presentarsi in forme diverse da quelle sperate.

«Alcune delle regioni che abbiamo preso di mira potrebbero essere leggermente troppo calde – ipotizza Valentin Bickel, scienziato dell’MPS e primo autore dello studio – è probabile che l’acqua lunare non esista come un deposito chiaramente visibile sulla superficie, ma potrebbe essere mescolata alla regolite e alla polvere, o potrebbe essere nascosta nel sottosuolo.»

 

Crediti immagine in evidenza: MPS/University of Oxford/NASA Ames Research Center/FDL/SETI Institute