Mentre i dati raccolti da Osiris-Rex su Bennu permettono di ipotizzare la futura traiettoria dell’asteroide, AsiTv Replay ripropone un video che parla di asteroidi e di difesa planetaria. E che si interroga su una domanda fondamentale: nella realtà, quanto è probabile che un oggetto proveniente dallo spazio colpisca la Terra?
Lo abbiamo chiesto a Ettore Perozzi, responsabile dell’Ufficio per la Sorveglianza Spaziale dell’Agenzia spaziale italiana. Partendo dalla nostra conoscenza degli asteroidi e arrivando alle future missioni.
Una precisazione importante: quando parliamo della possibilità che un oggetto celeste impatti la Terra, il più delle volte ci riferiamo a futuri meteoriti, ovvero materiale in prevalenza roccioso prodotto dalla collisione catastrofica tra asteroidi più grandi. Nel caso in cui un asteroide di piccole dimensioni cada sul nostro pianeta, l’ingresso in atmosfera lo polverizza in frammenti più piccoli, che il più delle volte non causano alcun danno. Era questo, ad esempio, lo scenario ipotizzato per l’asteroide 2018VP1 – chiamato ‘Election Day Asteroid’ per il suo passaggio vicino alla Terra proprio nei giorni delle elezioni americane. L’asteroide si è poi allontanato, ha annunciato l’Esa, passando a una distanza di circa 62mila chilometri. Ma non avrebbe in ogni caso costituito pericolo per via delle sue piccole dimensioni, poco più di due metri.
Questa storia conferma l’importanza dei programmi di monitoraggio e difesa del nostro pianeta, un’attività in cui l’Italia è coinvolta da tempo.
«L’Italia ha una primogenitura a livello universitario, con l’Università di Pisa, nell’aver sviluppato sistemi di calcolo molto precisi per questo tipo di previsioni. È un’eredità che l’Agenzia Spaziale italiana ha portato in ambito europeo, in particolare con il telescopio Flyeye, che come un occhio di mosca guarda una porzione molto grande di cielo ed è quindi in grado di cogliere questi piccoli oggetti che si avvicinano alla Terra» spiega Ettore Perozzi.
Frutto di una collaborazione Asi-Esa, il telescopio Flyeye verrà installato a 1865 metri di altezza, in cima al Monte Mufara in Sicilia. Aiuterà gli scienziati nella prima, fondamentale fase della prevenzione da asteroidi: l’osservazione del cielo per scovare in largo anticipo possibili oggetti in avvicinamento.
Una volta individuato un asteroide a rischio di collisione, il passaggio successivo è stimarne le dimensioni: come abbiamo visto, un oggetto di due metri come 2018VP1 difficilmente può fare danni, mentre se si parla di oggetti di venti o più metri le conseguenze possono essere ben più gravi. Per capire di cosa è fatto e quanto è grande un asteroide, gli scienziati ne analizzano la luce. «Su questo per esempio abbiamo un progetto dell’Unione Europea che si chiama Neorocks, – continua Perozzi – che si prefigge di cercare di dare una caratterizzazione fisica e non solo dinamica degli asteroidi. Partecipa anche l’Agenzia Spaziale Italiana ed è guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica».
Fatte tutte queste analisi, scatta la fase operativa. Ovvero, cosa succede se un asteroide è in rotta di collisione e sufficientemente grande da cadere sul nostro pianeta e causare danni?
«Mandiamo una sonda kamikaze a impattare l’asteroide: basta un piccolo urto fatto al momento giusto per fare in modo che la traiettoria dell’asteroide sia sempre più distante dalla traiettoria della Terra. Anche questo è uno scenario che è stato studiato per la prima volta in Italia all’Università di Pisa. La missione aveva un nome immaginifico, Don Quijote: c’erano due sonde, Sancho e Hidalgo. Una doveva andare a sbattere contro l’asteroide, mentre l’altra doveva misurare che questo impatto fosse sufficiente per spostarne l’orbita. Questa idea è stata poi raccolta dall’Esa, sostenuta anche dall’Italia, e oggi è diventata una missione congiunta: Dart della Nasa, Hera dell’Esa e LiciaCube dell’Asi: ognuno ci mette un pezzetto per riuscire a rispondere a questa domanda, se la nostra tecnologia è effettivamente in grado di spostare un asteroide. nnanzitutto c’è la sonda che deve colpire l’asteroide e defletterlo: sarà compito della sonda Dart della Nasa. Questa sonda porta a bordo un cubesat dell’Agenzia Spaziale Italiana, LiciaCube, che si staccherà poco prima dello scontro e guarderà cosa sta succedendo: avremo una piccola diretta dell’impatto. Per capire se il tutto ha funzionato ci sarà invece Hera dell’Esa, che controllerà il cambio di orbita dell’asteroide»
Fino a pochi anni fa, deviare un oggetto celeste in avvicinamento al nostro pianeta poteva sembrare fantascienza. Oggi abbiamo le tecnologie per farlo, tecnologie che presto saranno messe alla prova nel laboratorio spaziale di Dart, Hera e LiciaCube, in programma per il 2024, che metteranno alla prova per la prima volta la tecnica della deflessione asteroidale.
Tornando quindi alla nostra domanda iniziale: quanto è probabile che un asteroide colpisca il nostro pianeta? Pochissimo, circa 1 su 100.000. Il che significa che la probabilità che un asteroide si trovi ad attraversare l’orbita della Terra proprio nello stesso momento in cui anche il nostro pianeta sta transitando ha una possibilità su centomila di accadere. Ma in quell’unica eventualità, meglio trovarci preparati.
Guarda qui il servizio Deep Space: Quanto è probabile che un asteroide colpisca la Terra?