Fluttuano tranquillamente nello spazio profondo senza apparenti legami con una stella di riferimento: i girovaghi in questione sono quattro pianeti simili alla Terra per le dimensioni, scovati tra i set di dati della missione Kepler della Nasa. La misteriosa popolazione planetaria è al centro di un nuovo studio di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (articolo: “Kepler K2 Campaign 9 – I. Candidate short-duration events from the first space-based survey for planetary microlensing”); la ricerca, che ha coinvolto un gruppo di lavoro internazionale, è stata coordinata dall’Università di Manchester.

Gli scienziati hanno trovato le tracce dei quattro pianeti in una serie di dati raccolti da Kepler (durante la sua fase come K2) nel 2016; nello specifico, sono state analizzate le informazioni relative ad una campagna di osservazioni durata un paio di mesi. Nel periodo preso in considerazione, Kepler, ideata per andare a caccia di esopianeti e conclusa nel 2018, ha monitorato un’area dello spazio particolarmente gremita di stelle vicina al centro della Via Lattea; la sua attività si è svolta ogni 30 minuti in modo da poter cogliere anche rari eventi di microlensing gravitazionale.

Il team della ricerca ha individuato 27 segnali di potenziali microlensing di durata variabile (da un’ora fino ad un massimo di 10 giorni), alcuni dei quali riscontrati anche nei dati di osservazioni condotte da terra. I quattro eventi più brevi sono a tutti gli effetti nuove scoperte e sono coerenti con corpi celesti di massa simile a quella del nostro pianeta.

Questi nuovi eventi, tuttavia, non mostrano in abbinamento un segnale più lungo, come ci si potrebbe aspettare dalla presenza di una stella ospite: da questa peculiarità, gli studiosi hanno ipotizzato che essi siano da attribuire a dei pianeti che si muovono senza vincoli. Il gruppo potrebbe essersi formato anticamente nei pressi di un qualche astro e poi potrebbe essere stato espulso dal sistema dalla forza gravitazionale di altri pianeti più massicci.

Il microlensing, teorizzato da Albert Einstein 85 anni fa, è un fenomeno che consiste nella deviazione dei raggi luminosi provenienti da una sorgente di fondo a causa della forza gravitazionale di un corpo massiccio che agisce da lente. Questo meccanismo produce una breve esplosione luminosa che può durare da poche ore sino ad alcuni giorni. Nella Via Lattea il microlensing interessa una stella circa su un milione, ma solo una piccola percentuale è causata dai pianeti.

Per arrivare ai risultati presentati nello studio, gli scienziati hanno dovuto sviluppare nuove tecniche di indagine dei dati: Kepler, infatti, non era stato progettato né per utilizzare il microlensing come strumento di ricerca dei pianeti, né per studiare aree in cui la popolazione stellare è molto densa. Nonostante le difficoltà nell’utilizzo di un telescopio spaziale che – all’epoca –  era avanti con gli anni e ‘ammaccato’, gli studiosi sono riusciti a cogliere segnali estremamente difficili da trovare; per approfondire le caratteristiche di questi pianeti solitari, il gruppo di lavoro confida in due future missioni: Roman Space Telescope della Nasa e possibilmente Euclid dell’Esa. Quest’ultima, progettata per indagare la natura della materia oscura, vanta un forte contributo italiano.

In alto: Elaborazione artistica di un pianeta solitario (Crediti: A. Stelter / Wikimedia Commons)