Un nuovo studio del Mit sulle prime onde gravitazionali rilevate dimostra che l’orizzonte degli eventi di un buco nero non si può ridurre, offrendo la prima conferma osservativa al teorema dell’area di Stephen Hawking.

La prima rilevazione delle onde gravitazionali, oscillazioni dello spazio-tempo predette da Albert Einstein come conseguenza della sua teoria della Relatività Generale del 1915, è avvenuta nel settembre 2015. Causate dall’accelerazione gravitazionale a cui sono sottoposti oggetti estremamente grandi e massicci, le prime onde gravitazionali osservate, chiamate GW150914, sono il prodotto della collisione di due buchi neri da cui se ne è generato un terzo più grande. La dimostrazione, ottenuta grazie ai dati dei due interferometri statunitensi del progetto Ligo e successivamente studiati da Virgo, la sua controparte in Italia, è stata definita la scoperta del secolo.

Subito dopo la rivelazione, il fisico Stephen Hawking contatta il co-fondatore di Ligo Kip Thorne, Premio Nobel per la fisica nel 2017, insieme a Rainer Weiss e Barry Barish, proprio per l’osservazione delle onde gravitazionali. Hawking porge questa domanda: «Il rilevamento potrebbe confermare il teorema dell’area?»

Il riferimento è al teorema concettualizzato dallo stesso Hawking nel 1971, il quale prevede che in un buco nero non dovrebbe mai ridursi nel tempo l’area dell’orizzonte degli eventi, ossia il confine oltre il quale nulla, materia e luce, può sfuggire per l’enorme attrazione gravitazionale. Hawking sa bene che potenzialmente l’osservazione di onde gravitazionali potrebbe dare una risposta al suo quesito. All’epoca, però, i ricercatori non avevano ancora la capacità di cogliere le informazioni necessarie all’interno del segnale prima e dopo la fusione dei buchi neri.

Con l’obiettivo di calcolare la massa e lo spin, ossia la velocità di rotazione, del buco nero finale, nel 2019 il team di Maximiliano Isi, del Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del Mit e autore principale della ricerca, ha sviluppato una tecnica per estrarre frequenze specifiche immediatamente successive al picco di GW150914, quando è avvenuto l’impatto vero e proprio dei due buchi neri genitori. Potendo ora derivare l’area dell’orizzonte degli eventi dalla massa e dallo spin del buco nero finale, Kip Thorne rilancia il quesito di Hawking al team di Maximiliano Isi. È possibile capire se gli orizzonti degli eventi aumentano?

Analizzando di nuovo nel dettaglio il segnale di GW150914, questa volta subito prima del picco, gli astrofisici hanno identificato la massa e lo spin di entrambi i buchi neri prima della loro fusione. I risultati sono chiari: la somma delle aree degli orizzonti dei due buchi neri prima dell’impatto è stata stimata di circa 235.000 chilometri quadrati. L’orizzonte degli eventi del buco nero generato risulta invece di 367.000 chilometri quadrati.

«I dati mostrano con schiacciante fiducia che l’area dell’orizzonte è aumentata dopo la fusione, e che la legge dell’area è soddisfatta con altissima probabilità», dice Maximiliano Isi.

Dopo la prima conferma osservativa del teorema dell’area di Hawking, fino ad oggi dimostrato solo matematicamente, il team prevede di testare ulteriormente questa tecnica di estrazione di frequenze e analizzare così ulteriori rilevazioni di onde gravitazionali, utilizzando i dati di Ligo e Virgo, con la sfida di verificare in futuro altre teorie sulla meccanica dei buchi neri.

«È possibile che ci sia uno zoo di diversi oggetti compatti, e mentre alcuni di essi sono i buchi neri che seguono le leggi di Einstein e Hawking, altri possono essere entità leggermente diverse», così conclude Maximiliano Isi.

 

Crediti immagine: Ligo, Simulating eXtreme Spacetimes (SXS) project.