I ghiacciai hanno perduto l’imperturbabilità che per anni ha caratterizzato la loro evoluzione e si sono ‘vivacizzati’, non senza conseguenze: questo loro comportamento, più diffuso di quanto si pensasse, è al centro di uno studio pubblicato recentemente su The Cryosphere (articolo: “Sudden large-volume detachments of low-angle mountain glaciers – more frequent than thought?”).

La ricerca è stata curata da un team internazionale di esperti, coordinato dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Oslo, e si basa sia su dati satellitari che su modelli digitali di elevazione (Dem). Le informazioni utilizzate provengono da differenti satelliti: dalle costellazioni Sentinel-1 e Sentinel-2 di Copernicus, il programma di Osservazione della Terra della Commissione Europea, e da Landsat, programma congiunto NasaUsgs.

I movimenti dei ghiacciai, dovuti alla forza di gravità, comportano lo spostamento del materiale accumulato dall’alto verso il fondovalle e generalmente si verificano nell’arco di decenni. La lentezza di questi processi, influenzati anche dalle condizioni ambientali, fa sì che i ghiacciai siano utilizzati come indicatori dei cambiamenti climatici. In alcuni casi, però, i movimenti avvengono con grande rapidità, tanto che il ghiaccio si sposta anche di parecchi chilometri in breve tempo; questo fenomeno è stato definito surge glaciale. Dopo questa sorta di valanga, i ghiacciai rimangono tendenzialmente quieti e il materiale da essi sparso si scioglie in pochi decenni.

I surge, di solito, non costituiscono un pericolo perché si verificano in zone remote e poco antropizzate, ma vanno comunque tenuti sotto stretto controllo. Infatti, vi sono stati dei casi drammatici, come è accaduto nel 2002 con il ghiacciaio Kolka, ai confini tra Russia e Georgia: una vasta massa di ghiaccio (circa 130 milioni di metri cubici) si staccò dal Kolka, abbattendosi ad una velocità di 80 metri al secondo sulla vallata sottostante e provocando oltre 100 morti.

Il fenomeno era noto agli studiosi, ma la tragedia del Kolka lo ha collocato sotto una luce diversa e ha spinto la comunità scientifica a svolgere ulteriori approfondimenti: dalle indagini è emerso che i surge glaciali, nel corso degli anni, si sono verificati molto spesso e hanno interessato in prevalenza ghiacciai con un letto roccioso relativamente pianeggiante. A svelare che queste valanghe di ghiaccio si presentano con frequenza sono stati proprio i dati satellitari, che hanno consentito sia di rivedere eventi già noti, sia di identificarne di nuovi; infatti, parte di questi eventi è stata registrata solo dai satelliti, visto che i surge si sono spesso manifestati in aree remote.

Il gruppo di lavoro si è concentrato su 20 distacchi glaciali, spaziando su 10 regioni diverse: dall’Alaska alle Ande, sino al Caucaso e al Tibet. Sono stati analizzati tutti i fattori che possono aver concorso a scatenare i surge, tra cui quelli connessi al cambiamento climatico, come lo scioglimento del permafrost e le infiltrazioni dell’acqua di disgelo.

Anche in questo filone di studi i satelliti hanno fatto la differenza, consentendo una migliore conoscenza di un fenomeno che può avere risvolti drammatici: con questa nuova consapevolezza, gli studiosi possono interpretare più correttamente i dati satellitari e individuare eventuali segnali precursori dei surge.

In alto: Surge glaciali nella regione di Sedongpu, Cina. Crediti: dati di Copernicus Sentinel-2 (2017-18), elaborati dal team CCI Glacier e dall’ESA.