Uno studio condotto dall’Università della California Irvine e dalla Boston University suggerisce che tutta la nuova biomassa verde cresciuta nelle regioni artiche e boreali non sarebbe un pozzo di carbonio così esteso, ovvero una sorta di ‘polmone verde’ in grado di assorbire dall’atmosfera grandi quantità di anidride carbonica che vengono prodotte dall’inquinamento. 

Lo studio è stato pubblicato su Nature Climate Change. «Possiamo davvero fare affidamento sulla crescita di nuove piante per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico? – si chiede Mark Friedl, autore dello studio – inoltre ci chiediamo cosa succederà al carbonio immagazzinato in queste foreste e come esso reagirà di fronte a un clima in continuo mutamento come il nostro».

Gran parte del carbonio – si legge nello studio – non rimane  all’interno delle piante per via delle continue deforestazioni, sempre più frequenti nelle regioni artiche, che ne roducono la quantità. Inoltre i cambiamenti del clima rendono queste aree sempre più calde e secche, e a causa degli incendi frequenti, gran parte della nuova biomassa verde non immagazzina carbonio ma viene al contrario distrutta. 

Gli scienziati hanno osservato che negli ultimi 31 anni, lo stock di carbonio presente nelle foreste del nord del pianeta è aumentato di poco, solo 430 milioni di tonnellate in totale proprio per colpa degli incendi. Secondo le ipotesi formulate in passato l’inverdimento del nord avrebbe dovuto contribuire in maniera notevole alla riduzione della concentrazione di anidride carbonica legata la riscaldamento climatico, ma nessuno finora ha mai conosciuto l’entità esatta di questo contributo. 

I ricercatori hanno combinato i dati dei satelliti Nasa Icesat e Landsat per poter calcolare la quantità di carbonio accumulata in una regione di 2,8 milioni di chilometri quadrati che comprende Canada e Alaska. I dati di Icesat forniscono misurazioni dell’altezza delle chiome forestali, mentre i dati Landsat risalgono alla metà degli anni ottanta e procurano dati  sull’abbondanza della biomassa vegetale.

Così facendo gli scienziati hanno scoperto che la biomassa è aumentata nel corso degli ultimi 30 anni, ma meno di quanto previsto dai modelli sul clima che aiutano la comunità scientifica ad avere un’idea di cosa ci aspetta in futuro. 

Senza dubbio i nuovi dati che emergono dallo studio sono importanti poiché forniscono un mezzo indipendente per mettere alla prova i vari modelli climatici.  Secondo gli scienziati  i pozzi di carbonio del nord non sono sufficienti a contrastare le emissioni di anidride carbonica e sarà necessario cercare altrove altri ‘motori’ in grado di combattere gli effetti negativi del climate change. 

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