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Le coltri bianche della Groenlandia sono di nuovo sotto la lente degli scienziati: questa volta è al centro dell’attenzione la piattaforma glaciale della grande isola nordica, i cui crepacci stanno diventando sempre più grandi e profondi. Ad affermarlo è un nuovo studio di Nature Geoscience, condotto da un team internazionale e coordinato dall’Università di Durham (Regno Unito).

Il gruppo di lavoro, per analizzare l’evoluzione delle fratture, ha utilizzato oltre 8mila mappe tridimensionali create in base a immagini satellitari in alta risoluzione. In particolare, è stato impiegato ArcticDem, un modello di elevazione digitale (Dem, Digital Elevation Model) frutto della collaborazione tra due agenzie governative statunitensi: la National Geospatial-Intelligence Agency e la National Space Foundation. Le immagini del modello sono state fornite dal Polar Geospatial Center dell’Università del Minnesota. Tra le immagini satellitari usate nello studio vi sono anche quelle realizzate dai satelliti Sentinel-2 del programma di Osservazione della Terra Copernicus della Commissione Europea. Nello specifico, le ‘sentinelle’ hanno osservato il ghiacciaio Store (Groenlandia occidentale) e hanno consentito di valutarne anche i cambiamenti sub-stagionali grazie alla loro elevata risoluzione temporale.

I dati presi in considerazione per lo studio riguardano il periodo 2016-2021: in questo arco di tempo le crepe sul manto glaciale sono state caratterizzate da dimensioni più ampie e maggiore profondità nei luoghi in cui il ghiaccio ha iniziato a scorrere più rapidamente. Questo meccanismo, connesso alla crisi climatica, potrebbe accentuare la perdita di ghiaccio già in atto sull’isola. Dal 1992, infatti, la Groenlandia ha contribuito all’innalzamento del livello del mare di circa 14 millimetri. L’insidioso fenomeno è stato dovuto alla crescita dello scioglimento del ghiaccio di superficie in seguito alle temperature atmosferiche più elevate e all’intensificazione dei flussi di ghiaccio che si immettono nell’oceano a causa del calore più intenso delle acque marine. La perdita di questa copertura glaciale – spiegano gli esperti – può portare a dei gravi squilibri: se si sciogliesse tutto il ghiaccio presente sull’isola, i mari potrebbero innalzarsi di 7 metri.

Lo studio mostra che i crepacci sono maggiormente presenti nelle aree in cui la piattaforma glaciale ‘incontra’ il mare; in alcune zone il loro incremento è arrivato fino al 25%. Questa tendenza è stata in parte compensata da una riduzione delle fenditure sul Sermeq Kujalleq (Groenlandia occidentale), un ghiacciaio noto per la rapidità del suo flusso, verificatasi proprio nel periodo oggetto della ricerca. Purtroppo, dopo il 2021, questa fase di equilibrio nell’evoluzione dei crepacci si è conclusa e il Sermeq Kujalleq ha iniziato di nuovo a perdere ghiaccio.

L’incremento delle spaccature ha anche un’altra conseguenza: la formazione di iceberg. Infatti, esse agiscono sui processi che portano i ghiacciai costieri a muoversi più velocemente, portando nelle loro pieghe più profonde acqua e calore e favorendo quindi il distacco di ampie porzioni. La ricerca, secondo gli autori, ha permesso di inquadrare nel dettaglio il fenomeno delle fratture e di rilevare che sono soprattutto i ‘campi’ di crepacci già esistenti a produrre fenditure più ampie e profonde.

 

In alto: i crepacci solcano la superficie dello Store, un ghiacciaio della Groenlandia occidentale affacciato sul mare (Crediti: Tom Chudley (Durham University)