Un team di ricercatori dell’Università del Rhode Island  finanziato dal programma Nasa Astrobiology  ha rivelato che i microrganismi che vivono nel profondo degli oceani vengono nutriti da sostanze chimiche, create dall’irradiazione naturale delle molecole d’acqua. I risultati dello studio, pubblicato su Nature Communications, potrebbero influenzare le missioni che hanno come obiettivo la ricerca di vita su altri pianeti.

La radiolisi – ovvero la scissione delle molecole d’acqua in idrogeno e ossidanti a seguito dell’esposizione a radiazioni naturali, come spiegato nella ricerca – è la fonte primaria di cibo ed energia per i microrganismi. Nello specifico, i sedimenti nelle profondità marine rappresentano un ambiente in cui è disponibile pochissimo ‘carburante’ per la vita. I microrganismi di questi luoghi sono in grado di sopravvivere in uno degli ambienti più difficili della Terra, con accesso limitato ai nutrienti, assenza di luce, alta pressione, temperature estreme e afflusso limitato di nuovo materiale.

Le ipotesi formulate in passato hanno ipotizzato che la fonte di nutrimento principale per i microbi nel fondo degli oceani fosse il materiale organico proveniente dalla superficie terrestre. Secondo questa teoria, la  biosfera marina sarebbe collegata all’energia del Sole, che è tipicamente considerata la fonte essenziale per la vita sulla Terra. Al contrario, il nuovo studio mostra che la vita nei sedimenti marini potrebbe essere sostenuta da un’altra fonte di energia, la radiolisi appunto, dalle caratteristiche completamente diverse. Questa fonte di energia potrebbe essere cruciale per i  pianeti rocciosi che hanno – o hanno avuto, in passato – acqua liquida in superficie, in particolare quelli con scarsa disponibilità di luce, dove non si è sviluppata la fotosintesi.

«La ricerca di forme di vita su altri pianeti  – commenta Mary Voytek del Nasa Astrobiology Program – è un processo molto complesso. Non è sufficiente trovare semplicemente acqua o molecole organiche, dobbiamo anche caratterizzare l’abitabilità di questi pianeti con un’analisi delle potenziali fonti di energia».

Le missioni della Nasa si sono concentrate a lungo sulla ricerca dell’acqua. Su Marte, in particolare, le sonde e i rover hanno effettuato analisi per localizzare la presenza di quest’ultima nel passato del pianeta. Ma la sola acqua, senza l’intervento di  fonti di energia, non è sufficiente per lo sviluppo di forme di vita. Gli scienziati ritengono che la vita può essere alimentata indipendentemente dal Sole, dal mix di sedimenti e acqua prodotti dalla radiolisi. 

«Se lo sviluppo di microrganismi è possibile in ambienti marini profondi grazie alla radiolisi – spiega Steven D’Hondt dell’Università del Rhode Island – forse questo processo può essere individuato anche su altri mondi. Alcuni minerali presenti nel fondo degli oceani sono stati scovati anche su Marte. Se è possibile catalizzare la produzione di sostanze chimiche radiolitiche a velocità elevate nel sottosuolo marziano umido, allora la vita potrebbe svilupparsi in quei luoghi, così come fa nelle profondità oceaniche. Questo dettaglio è particolarmente interessante perché il rover Perseverance, da poco giunto su Marte, potrà raccogliere le rocce marziane e analizzare l’ambiente circostante alla ricerca di queste particolari condizioni. Ora, gli scienziati tenteranno di comprendere meglio il processo che regola la produzione di idrogeno attraverso la radiolisi, in particolare nella crosta oceanica e in quella continentale. Infine, cercheranno di comprendere i meccanismi di evoluzione delle comunità microbiche oceaniche quando la loro fonte di energia primaria deriva dalla scissione radiolitica naturale dell’acqua».

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