Per il momento è riuscita a mettere a freno la voracità di un suo ospite ingombrante e la sua sopravvivenza è attestata dalle nuove generazioni di stelle cui sta dando vita: la protagonista di questa lotta contro un buco nero è CQ4479, una galassia distante studiata dall’osservatorio Sofia (Stratospheric Observatory For Infrared Astronomy), missione congiunta della Nasa e dell’agenzia spaziale tedesca Dlr. La particolare condizione di questa galassia è al centro di un recente studio, basato sui dati di Sofia e pubblicato su The Astrophysical Journal (articolo: “Dying of the Light: An X-Ray Fading Cold Quasar at z ~ 0.405”); l’indagine, coordinata dal Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università del Kansas, è stata svolta da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui l’italiano Alessandro Peca.
CQ4479, situata a oltre 5 miliardi di distanza dalla Terra, ospita nel suo ‘cuore’ un quasar, ovvero un oggetto altamente carico di energia e luminosissimo che si produce quando un buco nero si nutre con estrema voracità. Tuttavia, non si tratta di un quasar ordinario ma di un ‘cold quasar’, una tipologia scoperta solo in tempi recenti. In questo tipo di oggetto, il buco nero è impegnato a divorare il materiale della galassia che lo ospita, ma siccome il gas freddo non è stato asportato del tutto dall’energia tipica dei quasar, CQ4479 è ancora vitale e in grado di produrre nuove stelle. È la prima volta che i ricercatori riescono ad avere un quadro dettagliato di un cold quasar, grazie alle misurazioni effettuate su parametri quali la crescita del buco nero, il tasso di formazione stellare e la percentuale di gas freddo rimanente.
Data la loro intensa luminosità e la posizione distante, i quasar sono oggetti estremamente difficili da osservare; inoltre, la loro frenetica attività – secondo le attuali teorie – incide negativamente sul gas freddo, un componente fondamentale per la creazione di nuovi astri, e di conseguenza sulla vitalità della galassia. Grazie ai dati di Sofia, gli studiosi hanno potuto constatare che esiste un periodo relativamente breve in cui la produzione stellare prosegue, mentre il buco nero ‘banchetta’ e dà la carica al quasar. Nello specifico, Sofia ha utilizzato il suo telescopio per indagare la luce infrarossa emessa dalle polveri riscaldate dai processi di formazione stellare, mentre il suo strumento Hawc+ (High-resolution Airborne Wideband Camera-Plus) ha permesso agli scienziati di calcolare il tasso di formazione stellare nel corso degli ultimi 100 milioni di anni.
La fase in cui coesistono le stelle neonate e il ‘banchetto’ del buco nero rappresenta quindi un primo step dei meccanismi che porteranno alla fine di una galassia. La scoperta, secondo il gruppo di lavoro, indurrà la comunità scientifica a rivedere gli attuali modelli relativi all’evoluzione delle galassie; il team intende proseguire le ricerche per verificare se esistono altre entità come CQ4479, auspicando di potersi avvalere del telescopio Webb, il cui lancio è in programma nel 2021.
In alto: Elaborazione artistica della galassia CQ4479 (Crediti: Nasa/Daniel Rutter)