Ha fatto scervellare gli studiosi per 16 anni e solo dopo lunghe indagini con un’agguerrita ‘squadra’ di telescopi spaziali e di Terra, la sua vera natura è emersa: una fusione tra due stelle che ha dato luogo a un inedito oggetto celeste, soprannominato Nebulosa Blue Ring (Blue Ring Nebula). Questa entità è protagonista di un nuovo studio su Nature (articolo: “A blue ring nebula from a stellar merger several thousand years ago”), coordinato dal Cahill Center for Astrophysics del California Institute of Technology.

L’oggetto è stato individuato per la prima volta nel 2004 dal telescopio spaziale Galex della Nasa e si è presentato allo sguardo degli astronomi come un ampio e tenue grumo blu di gas con una stella al centro, denominata Tyc 2597-735-1 e prossima al piano galattico; ulteriori osservazioni hanno mostrato che all’interno del grumo si trova una spessa struttura ad anello, la caratteristica che è valsa all’oggetto il suo nickname. Nel corso degli anni, Blue Ring è stato monitorato a fondo e addirittura sono stati studiati i dati delle osservazioni storiche compiute dal 1895 in poi; tuttavia, solo grazie a modelli teorici di ultima generazione è stato possibile giungere a un’ipotesi convincente. L’oggetto celeste, con tutta probabilità, è costituito dai detriti di un evento traumatico, che ha visto due astri entrare in rotta di collisione per poi dare luogo a una singola entità.

Le fusioni tra stelle sono ritenute piuttosto comuni, ma è pressoché impossibile osservarle subito dopo il fatto, a causa dei detriti che affollano l’area circostante; quando essi si diradano – in centinaia di migliaia di anni – è difficile identificare le stelle originarie nel nuovo oggetto che si è formato. Secondo gli astronomi, Blue Ring assume particolare rilievo perché si presenta come l’elemento che mancava per comprendere al meglio questi processi: infatti, il sistema binario che ha vissuto la fusione è stato osservato solo poche migliaia di anni dopo lo scontro ed è il primo esempio noto, sino a questo momento, di una fusione in questa fase.

Il team scientifico di Galex ha successivamente condotto una campagna di osservazioni su Blue Ring con due telescopi di terra, quello dell’osservatorio Palomar in California e quello dell’osservatorio Keck alle Hawaii. Da questi approfondimenti è emersa la presenza di un’onda d’urto, attribuita a un qualche evento violento avvenuto nei dintorni della stella centrale, e l’emissione di materiale dall’astro sulla sua superficie. Questo fenomeno ha indotto gli studiosi a ipotizzare la presenza di un pianeta, più grande di Giove, fatto a pezzi dalla stella, dopo essersi incautamente avvicinato ad essa. Indagini condotte dal 2012 in poi con altri telescopi spaziali, come Wise e Spitzer della Nasa, e con il telescopio Hobby-Eberly in Texas hanno confutato questa ipotesi: non c’era nessun corpo celeste compatto in orbita intorno alla stella.

Gli astronomi hanno ripreso in mano la questione nel 2017, coinvolgendo nel lavoro esperti di fusioni/collisioni cosmiche e di simulazioni informatiche e facendo ricorso a modelli teorici all’avanguardia: in base ad essi sono giunti alla conclusione che la Nebulosa Blue Ring è il risultato di una fusione ancora piuttosto ‘fresca’, verificatasi tra una stella simile al nostro Sole e un’altra più piccola (circa un decimo rispetto alla prima).

L’incontro ‘fatale’ tra i due astri dovrebbe essersi verificato in questo modo: quello analogo al Sole, prossimo al ‘capolinea’ della sua vita, ha iniziato a gonfiarsi e ad avvicinarsi pericolosamente al suo compagno più piccolo, che ha finito per ricadere sul primo seguendo una traiettoria a spirale. Nel frattempo, la stella grande ha fatto a pezzi quella mignon, finendo per essere avvolta in un anello di detriti prima di ‘ingoiare’ del tutto la piccola sventurata. La collisione ha lanciato nello spazio una nube di detriti roventi, che successivamente è stata tagliata in due dal disco di gas, formando due entità dall’aspetto conico. Con il trascorrere dei millenni, la nube derivante dalla collisione si è raffreddata e ha originato polveri e molecole, incluse quelle dell’idrogeno che, scontrandosi con il mezzo interstellare, si sono ‘eccitate’ e hanno iniziato a brillare in una specifica lunghezza d’onda del lontano ultravioletto: nel tempo la luminosità è diventata tale da poter essere colta dagli strumenti di Galex.