Le prime galassie e le stelle al loro interno potrebbero essersi formate prima di quanto ipotizzato. Lo afferma uno studio guidato da un team dell’Esa che ha utilizzato i dati del telescopio spaziale Hubble. I ricercatori hanno studiato le stelle di popolazione III ossia di prima generazione, forgiate dal materiale primordiale emerso dal Big Bang. Questa tipologia di astri sono composte  esclusivamente da idrogeno, elio e litio, gli unici elementi che esistevano prima che i processi nei nuclei stellari potessero crearne di più pesanti, come ossigeno, azoto, carbonio e ferro.

L’esplorazione delle primissime galassie è uno dei temi  più importanti  per l’astronomia moderna e Hubble –  in grado di effettuare osservazioni tramite imaging approfondite che permettono di vedere l’universo entro 500 milioni di anni dal Big Bang –  è uno strumento un grado d rispondere a queste sfide.

Il team europeo ha esplorato l’Universo primordiale da circa 500 milioni di anni fino ad arrivare a 1 miliardo di anni dopo il Big Bang osservando il cluster Macs J0416 e il suo campo parallelo con Hubble e con altri strumenti a bordo dello Spitzer Telescope e del Vlt dell’Eso. Dopo aver effettuato una serie di accurate analisi il team ha affermato di non aver trovato alcuna prova della presenza di stelle di prima generazione in questo intervallo di tempo cosmico.

Nel dettaglio i ricercatori hanno utilizzato il Wide Field Camera 3 nell’ambito dell’Hubble Frontier Fields. Questo programma – che ha osservato sei ammassi di galassie distanti dal 2012 al 2017 –  ha prodotto le osservazioni più profonde mai realizzate di cluster galattici e di  galassie situate dietro di essi che sono state ingrandite dall’effetto lente gravitazionale, rivelando in tal modo galassie da 10 a 100 volte più deboli di qualsiasi altra precedentemente osservata. Gli ammassi galattici in primo piano sono abbastanza grandi da piegare e ingrandire la luce dagli oggetti più distanti dietro di loro. Ciò consente a Hubble di utilizzare queste lenti d’ingrandimento cosmiche per studiare oggetti che vanno oltre le sue capacità operative nominali.

Il team ha sviluppato una nuova tecnica che rimuove la luce dalle galassie in primo piano che costituiscono la lente gravitazionale. Così facendo sono riusciti a scoprire galassie con masse inferiori rispetto a quelle osservate in precedenza con Hubble, a una distanza corrispondente a quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. In questo periodo cosmico l’assenza di popolazioni stellari esotiche unita alla presenza di galassie deboli supporta la teoria che identifica queste galassie come le candidate più probabili per la reionizzazione dell’Universo. Durante questo periodo il gas primordiale, di cui è pervaso l’Universo nelle prime fasi della sua evoluzione, passa dallo stato neutro a quello ionizzato.

«Questi risultati hanno profonde conseguenze astrofisiche poiché dimostrano che le galassie devono essersi formate molto prima di quanto pensassimo – afferma Rachana Bhatawdekar autore dello studio – il nostro studio  supporta anche l’idea che le galassie deboli nell’Universo primordiale sono responsabili della reionizzazione. Questi risultati suggeriscono anche che la prima formazione di stelle e galassie si è verificata molto prima di quanto si possa sondare con il telescopio spaziale Hubble. Non ci resta che attendere il lancio del telescopio spaziale James Webb che sarà in grado di scrutare in modo più approfondito gli albori dell’Universo».