Non era stato programmato per fare scienza, né tanto meno per scoprire nuovi oggetti celesti. Asteria, un cubesat sviluppato dalla Nasa in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology, aveva il solo obiettivo – già considerato piuttosto ambizioso – di dimostrare che un nanosatellite poco più grande di una scatola da scarpe potesse svolgere compiti complessi nello spazio. Si trattava insomma di un test tecnologico, per esplorare le potenzialità di questi piccoli ma promettenti satelliti, già ampiamente utilizzati per le previsioni meteo, la sicurezza marittima e l’agricoltura e negli ultimi anni impiegati anche nel settore spaziale.

Ma Asteria (acronimo di Arcsecond Space Telescope Enabling Research in Astrophysics), è andato ben oltre le aspettative. Raggiungendo un traguardo che fino adesso era riservato soltanto ai big dell’esplorazione spaziale: scovare un esopianeta. Un po’ come se un collaudatore di auto da corsa vincesse il campionato mondiale di Formula 1.

Rilasciato nella bassa orbita terrestre dalla Stazione spaziale internazionale nel novembre 2017, Asteria faceva parte della CubeSat Launch Initiative della Nasa, che ha recentemente festeggiato l’invio del centesimo nanosatellite nello spazio. Era dotato di una nuovissima tecnologia nell’ambito del cosiddetto fine pointing control – in pratica la capacità di rimanere estremamente stabile osservando un oggetto per lunghi periodi di tempo. I risultati hanno sorpreso i suoi stessi inventori: Asteria è riuscito a individuare il pianeta extrasolare 55 Cancri e, nella costellazione del Cancro. Grande circa due volte la dimensione della Terra, questo esopianeta orbita molto vicino alla sua stella madre, e impiega meno di un giorno terrestre per completare la sua orbita. Era già noto agli astronomi dal 2004, ma le osservazioni di Asteria hanno permesso di raccogliere nuovi dati. Soprattutto, hanno dato il via all’impiego dei cubesat anche per l’analisi di oggetti celesti oltre al nostro sistema planetario.

«La scoperta di questo pianeta è emozionante – commenta Vanessa Bailey, responsabile scientifica di Asteria al Jpl della Nasa – perché mostra come le nuove tecnologie dei cubesat possano avere applicazioni reali. Il fatto che Asteria sia durato oltre 20 mesi dalla sua prima missione ne è la prova: abbiamo avuto tempo prezioso per testare la nostra ingegneria e fare scienza».

Il tempo di missione inizialmente previsto per Asteria era infatti di soli 90 giorni. Il cubesat ha invece ricevuto tre estensioni, prima di perdere i contatti con le basi di terra lo scorso dicembre. I risultati dello studio, accettati per la pubblicazione su Astronomical Journal e disponibili sul pre-print ArXiv, dimostrano come il metodo del transito possa essere utilizzato anche da sonde decisamente più piccole dello standard. Con un notevole abbattimento dei costi.

È chiaro che sarebbe impossibile impacchettare in un cubesat tutta la tecnologia dei grandi cacciatori di esopianeti come Tess. Eppure, secondo il team di Asteria, i nanosatelliti potrebbero essere un prezioso supporto a queste missioni. Ad esempio, monitorando una specifica stella per lunghi periodi di tempo, con un dettaglio che i grandi telescopi spaziali (pensati per scandagliare enormi porzioni di cielo) non possono permettersi. Ecco che i cubesat potrebbero diventare le sentinelle spaziali dei più grandi cacciatori di pianeti, svolgendo un lavoro di estrema precisione che può anche portare alla scoperta di nuovi mondi distanti.