Quali sono i meccanismi che rendono le nove, potentissime esplosioni termonucleari che avvengono sulla superficie delle nane bianche, tra gli oggetti più luminosi del cosmo? E come è stato prodotto il Litio, probabilmente l’ultimo elemento della tavola periodica di cui non si conosce esattamente l’origine astrofisica? Due domande a cui provano a dare risposta altrettanti studi, su Nature Astronomy e Monthly Notices of the Royal Astronomical Society a cui hanno preso parte ricercatori italiani dell’INAF.
Le nove sono esplosioni termo-nucleari che avvengono sulla superficie di una nana bianca a causa dell’accrescimento di materia proveniente da una stella compagna. Il loro nome viene dal latino stella nova, a indicare l’apparire nel cielo “immutabile” di un nuovo astro. Nell’ esplosione si produce una incredibile quantità di energia e la luminosità della stella aumenta fino a un milione di volte. Alcune si possono vedere anche ad occhio nudo, come la nova esplosa nella costellazione del Sagittario nel 2015.
Per molti anni, si è ritenuto che l’emissione luminosa delle nove venisse originata esclusivamente dalle reazioni nucleari che si innescano sulla superficie della nana bianca e che portano poi all’espulsione degli strati esterni. Negli ultimi anni, tuttavia, l’osservazione di raggi gamma proveniente da questi oggetti celesti suggerisce la presenza di un altro fenomeno fisico responsabile di queste emissioni di alta energia. Un caso emblematico è la nova esplosa nella costellazione della Carena e scoperta il 20 marzo del 2018, chiamata anche in termine tecnico V906 Carinae, o V906 Car in breve.
V906 Car è stata particolarmente brillante raggiungendo la sesta magnitudine – al limite della visibilità ad occhio nudo – e rimanendo su questo valore per quasi un mese con ripetute oscillazioni. V906 Car è stata osservata in modo sistematico con vari telescopi da terra e dallo spazio e con molti osservatori spaziali per l’astrofisica delle alte energie, come il satellite Fermi e, per una circostanza fortuita, dalla costellazione di “nanosatelliti” BRITE, che osserva il cielo nella luce visibile. E proprio il confronto dell’andamento nel tempo del flusso di radiazione gamma e visibile registrato dalle due missioni spaziali ha sorpreso i ricercatori, come afferma Elias Aydi, astrofisico alla Michigan State University e primo autore della ricerca appena pubblicata su Nature Astronomy: «Abbiamo osservato fluttuazioni simultanee nelle lunghezze d’onda dell’ottico che nei raggi gamma da Fermi-LAT. Questa coincidenza ci ha portato alla conclusione che una gran parte dell’emissione luminosa delle nove possa essere prodotta da onde d’urto, o shock, che si propagano nel materiale in espansione».
Ma come possono formarsi degli shock nelle nove? In questi eventi il materiale non viene espulso in una volta sola, ma in più episodi e le diverse “bolle” di materia espulsa si allontanano con differenti velocità. La successiva interazione tra le diverse bolle crea delle onde d’urto nel materiale che le compone e lo riscaldano, fino al punto di emettere radiazione luminosa. Le onde d’urto riscaldano il materiale espulso generando radiazione luminosa. Allo stesso tempo, le onde d’urto accelerano le particelle che producono la radiazione gamma osservata dal satellite Fermi. L’osservazione simultanea dei brillamenti ottici e di quelli gamma dimostra che i due fenomeni sono collegati.
L’idea che le nove potessero sintetizzare il Litio era stata proposta negli anni ’70 del secolo scorso e solo ora è arrivata la conferma osservativa. «Le nove potrebbero essere tra le principali sorgenti di litio nella Galassia – afferma Paolo Molaro dell’INAF di Trieste – Il 25% della quantità totale di questo elemento proviene dalla sintesi primordiale nei primi 3 minuti di vita dell’universo e il 10% da una varietà di processi astrofisici. Le nove potrebbero produrre tutto il rimanente 60 – 70 % del Litio esistente».