Il 24 gennaio 1986 la sonda Voyager 2 si preparava ad incontrare Urano, il settimo pianeta del Sistema Solare, volando sopra le sue nubi a circa 81.433 chilometri di distanza. Il rendez-vous fu molto fruttuoso e la sonda raccolse nuove informazioni sul pianeta rivelando l’esistenza di di due nuovi anelli, 11 lune e temperature vicine ai -214 gradi. Questo set di dati è ancora l’unico raccolto a distanza così ravvicinata.

Trentaquattro anni dopo gli scienziati della Nasa, dopo una revisione dei dati, hanno scoperto che la sonda è passata attraverso un plasmoide, un’enorme bolla magnetica che potrebbe aver strappato una minima parte dell’atmosfera di Urano portandola nello spazio. La scoperta, pubblicata sull’ultimo numero della rivista Geophysical Research Letters, solleva nuovi interrogativi sul particolare ambiente magnetico del pianeta.

Tutte le atmosfere dei pianeti del Sistema Solare vengono in minima parte disperse nello spazio: gli effetti sono trascurabili e  – se consideriamo le scale temporali umane –  non hanno impatti rilevanti sul destino di un pianeta. Un caso emblematico è rappresentato da Marte. «Marte agli albori della sua esistenza era un pianeta umido con un’atmosfera densa – commenta Gina Di Braccio project scientist della missione Nasa Maven – si è evoluto nel tempo e ci sono voluti circa 4 miliardi di anni per fargli avere l’aspetto che osserviamo ai giorni nostri».

Il responsabile della ‘fuga’ atmosferica è il campo magnetico che a seconda delle sue caratteristiche può favorire od ostacolare il processo. Il fly-by di Voyager 2 ha rivelato quanto sia particolare il campo magnetico di Urano. Il pianeta ha un periodo di rotazione di 17 ore mentre il suo asse magnetico punta a 60 gradi di distanza da quello di rotazione. In questo modo mentre il pianeta gira, la sua magnetosfera oscilla come un pallone lanciato in modo scorretto.  Questo particolare movimento non ha permesso agli scienziati di tracciare un modello dettagliato del suo campo magnetico.

Il campo magnetico di Urano

I ricercatori hanno scaricato le letture del magnetometro di Voyager 2 che hanno monitorato la direzione dei campi magnetici vicino a Urano durante il volo della sonda e del tutto inaspettatamente hanno scoperto di essersi imbattuti in un plasmoide. Queste gigantesche bolle di plasma o gas elettrificato si staccano dalle estremità della coda della magnetosfera. I plasmoidi in fuga, se i tempi lo consentono, possono drenare gli ioni dall’atmosfera di un pianeta, cambiando radicalmente la sua composizione.

Il plasmoide di Urano è stato registrato solo per 60 secondi delle 45 ore totali che Voyager 2 ha impiegato per sorvolare Urano. Gli scienziati hanno confrontato i dati della sonda con quelli rilevati da altre missioni che hanno osservato lo stesso fenomeno su Giove, Saturno e Mercurio. Secondo le stime il plasmoide di Urano avrebbe una forma  di un cilindro lungo almeno 204mila chilometri e largo fino a 400mila chilometri. Come la maggior parte dei plasmoidi planetari è composto da particelle cariche, principalmente da idrogeno ionizzato.

Le letture di Voyager 2 effettuate durante l’attraversamento del plasmoide hanno svelato alcune particolarità come la forma a cappio e la conformazione regolare e d omogenea degli anelli magnetici. Secondo le stime questo tipo di plasmoide potrebbe contribuire dal 15 al 55 percento alla perdita di atmosfera di Urano, una percentuale maggiore rispetto a Giove o Saturno.

Lo studio non risponde a tutte le domande dei planetologi sul misteri su Urano ma aiuta gli scienziati a focalizzarsi su nuove domande. «Immaginate un veicolo spaziale che vola in una stanza e cerca di caratterizzare l’intero globo terrestre -conclude DiBraccio – ovviamente vedrebbe solo una parte infinitesimale del nostro pianeta e non mostrerebbe  nulla ad esempio del deserto del Sahara o delle distese ghiacciate dell’Antartide».