Che un pianeta si trovi o meno nella zona abitabile della sua stella è un dato comunemente utilizzato per valutare la sua capacità di ospitare la vita. Ma cosa dire dei pianeti situati in orbite ‘non-abitabili’ che ricevono fonti di calore esterne alla luce delle loro stelle?

Il concetto di zona abitabile si riferisce alla regione di spazio attorno a una stella entro la quale è possibile scovare pianeti con acqua – o idrocarburi – allo stato liquido.  Ma sappiamo che la teoria spesso non rispecchia la realtà. Molti pianeti che si trovano all’interno delle zone abitabili delle loro stelle non possono ospitare la vita, per via dell’assenza di atmosfera o a causa della forte radiazione stellare a cui sono sottoposti, ad esempio.

Dunque, viene quasi spontaneo domandarsi: e se i pianeti al di fuori della zona abitabile fossero comunque in grado di supportare la vita?  

Un nuovo studio sostiene che il calore esterno emesso dalle stelle non è l’unico modo per rendere un pianeta abbastanza caldo da consentire la presenza di liquidi sulla superficie. Esistono processi aggiuntivi in grado di riscaldare il pianeta, in particolare il decadimento radioattivo e il calore che viene sprigionato nella fase di formazione dell’oggetto.

Ma quanto dovrebbero essere potenti questi processi affinché un pianeta mantenga liquidi sulla sua superficie abbastanza a lungo da consentire alla vita di svilupparsi, anche senza il calore proveniente dalla luce della sua stella? 

Lo studio ha analizzato le proprietà di tre diversi liquidi – acqua, ammoniaca ed etano – , il flusso di calore radioattivo da isotopi di lunga durata e di breve durata e il flusso di calore tipico che viene rilasciato quando un pianeta si raffredda dopo la sua formazione.

I risultati mostrano che una Super-Terra rocciosa, con un’atmosfera tenue, avrebbe bisogno di un’abbondanza di isotopi radioattivi circa 1.000 volte superiore rispetto alla Terra per ospitare oceani d’acqua ‘duraturi’, senza l’aiuto della luce stellare. Gli oceani di etano, invece, sono più facili da trovare e perdurare nel tempo poiché richiedono solo 100 volte l’abbondanza di radioisotopi terrestri.

Queste alte concentrazioni, nel cosmo, si trovano facilmente.  Mondi extrasolari situati nelle fitte regioni interne del rigonfiamento galattico – dove le fusioni di stelle di neutroni che generano radioisotopi sono più comuni – o in ambienti poveri di gas dovrebbero mostrare maggiori abbondanze di radioisotopi. 

Tali concentrazioni elevate possono essere sufficienti per generare il calore necessario per sostenere liquidi sulla superficie di un pianeta. Poiché il numero di pianeti al di fuori delle zone abitabili delle proprie stelle è decisamente ampio, la possibilità di trovare la firma della vita su nuovi mondi è maggiore. Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, offre uno spunto sicuramente utile in vista di future missioni, come quella del James Webb Space Telescope, che potrebbe essere in grado di rilevare le firme ad infrarossi di alcuni di questi pianeti.