È giovane, massiccio, si trova a circa 1.500 anni luce di distanza dalla Terra ed è salato: si tratta di Orion Source I, un astro che si è formato nella Orion Molecular Cloud I e che sta facendo parlare di sé per i composti scoperti nel suo disco di polveri, grazie al radiotelescopio Alma dell’Eso. La campagna di osservazioni, che ha portato ad individuare la ‘firma’ chimica del cloruro di sodio e di quello di potassio, è stata condotta da un team internazionale di astronomi e chimici, coordinato dal National Radio Astronomy Observatory (Nrao) di Socorro (New Mexico). I risultati della ricerca sono di prossima pubblicazione su The Astrophysical Journal (articolo: “Orion Src I’s disk is salty”); il saggio è disponibile in pre-print sulla piattaforma arxiv.org.

La presenza di tali composti salati, tre le polveri della giovane stella, ha colto di sorpresa gli studiosi, in quanto sostanze di questo tipo si trovano negli strati esterni di astri arrivati ‘al capolinea’. Tuttavia, il quadro spettrale tracciato da Alma evidenzia un’eccezione e mostra che l’ambiente circostante di Orion Source I è alquanto inusuale. Le osservazioni del radiotelescopio, infatti, contengono un’ampia varietà di ‘firme’ spettrali (o transizioni) delle medesime molecole: ne sono state contate una sessantina, tutte provenienti dal disco della stella. Uno scenario del genere è connesso a differenze di temperatura piuttosto estreme, che oscillano tra 100 e 4.000 Kelvin, e richiederebbe ulteriori approfondimenti per capire come Orion Source I stia riscaldando il proprio disco.

Secondo i ricercatori, i composti salati dovrebbero derivare dai granelli di polvere che sono entrati in collisione e hanno riversato il loro contenuto nel disco. Inoltre, alcuni elementi che costituiscono queste sostanze salate sono metallici, come il sodio e il potassio, e questo implica che l’ambiente intorno alla stella potrebbe presentare altre molecole contenenti metalli. Le tracce salate sono state scoperte ad una distanza dall’astro compresa tra 30 e 60 unità astronomiche e la quantità complessiva di sali dovrebbe essere pari all’intera massa degli oceani terrestri. Lo studio, secondo gli autori, schiude nuovi scenari di ricerca riguardanti i dischi che circondano proto-stelle massicce e quelli proto-planetari.