Sotto una densa coltre di nubi, Venere potrebbe nascondere strutture in grado di rivelare dettagli sul suo antico e turbolento passato.
Le attività vulcaniche sul “gemello inospitale della Terra” hanno cancellato ampie porzioni della sua superficie fino a circa mezzo miliardo di anni fa, rimuovendo tracce di molti siti da impatto. O almeno così si pensava.
Ora, un team internazionale di scienziati planetari si è interrogato sul motivo per cui Venere possiede così pochi crateri da impatto di grandi dimensioni, individuati altrove nel Sistema Solare interno. Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno puntato gli occhi sul Complesso ad anelli della tessera di Haasttse-baad — in inglese Haasttse-baad Tessera Ring Complex (Htrc) — una struttura di circa 1.500 chilometri di diametro. Lo studio, supportato da una mappatura geologica e da modelli numerici, è stato effettuato utilizzando le immagini raccolte dalla sonda Magellano della Nasa, lanciata nel 1989, e dati altimetrici. I risultati sono stati pubblicati su Journal of Geophysical Research: Planets.
Il complesso Htrc si trova all’interno della tessera di Haasttse-baad, a nord dell’altopiano Thetis Regio. Dette così perché ricordano i tasselli di un mosaico, le tessere di Venere sono ampie distese di terreno — talvolta delle dimensioni di un continente — caratterizzate da superfici deformate e ricoperte da creste ondulate, che conferiscono al terreno un aspetto simile a lastre di metallo corrugato. Gli scienziati ritengono che queste tessere si siano formate attraverso complessi processi di risalita e raffreddamento del magma, che ha prodotto spessi strati di lava solidificata.
L’analisi geologica di Haasttse-baad e delle strutture ad essa associate ha mostrato che non si tratta di un semplice rilievo, ma di un complesso circolare formato da anelli concentrici, segno distintivo di possibili crateri da impatto. L’ipotesi è che Htrc sia il risultato di un grande impatto da asteroide che ha modellato il terreno in modo simile al bacino Valhalla su Callisto, satellite di Giove. Il complesso si sarebbe formato nelle fasi finali dell’evoluzione della tessera, venendo poi parzialmente sepolto da depositi più giovani e modificato da attività tettoniche.
Venere ha preservato un numero significativo di strutture d’impatto, con circa 1.000 crateri noti — quasi incontaminati per via della mancanza di significativi processi erosivi — e che variano da 1 a 270 chilometri di diametro. L’aspetto più sorprendente di questa popolazione di cavità è che non sono stati individuati grandi bacini da impatto, ben visibili invece sulla Luna, su Marte e su Mercurio. Il più grande cratere conosciuto su Venere è Mead, con un diametro di 270 chilometri. A fargli compagnia, Isabella (175 chilometri), Meitner (151 chilometri) e Klenova (142 chilometri), tutti significativamente più piccoli. Cos’è successo quindi agli antichi bacini da impatto su Venere? L’assenza di queste strutture è stata in parte attribuita al vulcanismo globale che ha coperto e cancellato vaste aree della superficie venusiana negli ultimi 500 milioni di anni.
Si ritiene che la formazione di questi bacini comporti una configurazione simile a un ‘sandwich multistrato’, architettura precedentemente proposta come necessaria per modellare il terreno-tessera. I modelli numerici suggeriscono che l’Htrc si sia formato in un’epoca in cui la litosfera di Venere era estremamente sottile, con uno spessore di circa 10 chilometri rispetto ai 112 chilometri attuali. In queste condizioni, un grande impatto avrebbe potuto perforare la crosta e penetrare direttamente nel mantello, dove pressione ed elevate temperature avrebbero provocato una fusione parziale massiccia spingendo il magma verso la superficie. Questo fenomeno avrebbe dato origine a enormi bacini di lava, che si estendevano fino a 2.500 chilometri di diametro. Col passare del tempo, il residuo più denso alla base della tessera Haasttse-baad sarebbe stato rimosso dai moti convettivi del mantello, permettendo alla tessera stessa di sprofondare, fino a portarla all’altezza attuale.
Un aspetto particolarmente interessante di Haasttse-baad, dicevamo, è la presenza di anelli concentrici simili a quelli osservati su crateri da impatto presenti sulle lune ghiacciate di Giove, come il bacino di Valhalla su Callisto. Su queste lune, gli anelli si formano quando un oggetto colpisce una superficie dura, come la crosta di ghiaccio, sopra uno strato più morbido, come un oceano d’acqua, risultando come increspature congelate. Tuttavia, gli anelli di Haastte-baad implicano un secondo impatto, non su ghiaccio e acqua, ma su una crosta solida e una pozza di lava ancora presente nel bacino. I modelli presentati dal team indicano che questo secondo impatto sarebbe stato provocato da un asteroide di circa 70 chilometri di diametro tra 1,5 e 4 miliardi di anni fa, rendendo Haasttse-baad uno dei pochi esempi di grandi strutture da impatto rimaste intatte su Venere.
Nel prossimo decennio, il lancio di nuove missioni come VERITAS della Nasa ed EnVision dell’Esa (che vedono un significativo coinvolgimento del nostro paese, grazie al supporto dell’Agenzia spaziale italiana), permetterà di acquisire immagini ad alta risoluzione della superficie di Venere e dati topografici e geofisici dettagliati, necessari per approfondire questa ipotesi e rivelare eventuali altre strutture simili, nascoste in bella vista sulla superficie del pianeta.
In apertura: visione globale della superficie di Venere. Crediti: Nasa/Jet Propulsion Laboratory-Caltech.