Avreste mai pensato alla nostra galassia come a una grande orchestra, in cui ogni stella è uno strumento musicale che suona una propria melodia?
Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, tra cui scienziati dell’Australian National University e dell’Università di Sydney, alcune stelle della nostra galassia mostrano nel tempo fluttuazioni nella loro luminosità simili alle vibrazioni di una corda o al ronzio di un tamburo. Proprio come note musicali, le fluttuazioni nella luminosità degli astri possono essere tradotte in frequenze, che ci dicono di più sulla dimensione della stella, sulla sua composizione chimica e struttura interna. In tal modo è possibile determinarne l’età e altre proprietà interne.
Le melodie che suonano le stelle sono provocate da fenomeni noti come starquake, terremoti stellari durante i quali bolle di gas caldo risalgono e scoppiano sulla superficie, generando onde che si propagano attraverso l’intera stella, facendola vibrare in modi specifici e creando, appunto, un ritmo simile a musica. La melodia degli starquake può rivelare molte più informazioni sulla storia e il funzionamento interno delle stelle di quanto gli scienziati pensassero.
Questo particolare ambito di ricerca astronomica, denominata astrosismologia, funziona come la sismologia per la Terra e si basa sulle caratteristiche delle onde che si propagano in un mezzo per ricostruire in maniera indiretta la composizione interna di un corpo. Proprio come i terremoti ci aiutano a studiare l’interno della Terra, gli starquake rivelano cosa si trova sotto la superficie di una stella.
Per le stelle, la differenza rispetto alla Terra è che le onde vengono create da fenomeni interni, come la convezione, quindi è la stella stessa che si perturba. Le onde fanno sì che la stella oscilli e, oscillando, il gas alla superficie viene compresso e rarefatto in funzione del tempo: nelle zone in cui il gas è compresso si ha un leggero aumento della temperatura, dove è rarefatto una diminuzione. Le zone più calde emanano più luce di quelle più fredde, di conseguenza, da grande distanza, quello che si osserva è una variazione periodica di luminosità.
Così il suono delle stelle, cioè l’insieme delle frequenze di oscillazione della luce, ci fornisce preziose informazioni sulle dimensioni e sulle proprietà interne. Le stelle più massicce producono vibrazioni più profonde e lente, mentre quelle più piccole vibrano a toni più alti. È importante notare che nessuna stella emette una sola nota: ognuna di esse “canta” una sua melodia, diffondendo un intero spettro di suoni provenienti dal suo interno.
Con i dati raccolti si possono calcolare le frequenze tipiche, ricavare proprietà importanti dell’interno della stella e testare la validità dei modelli predittivi.
Gli astronomi hanno a lungo cercato di capire come le stelle simili al nostro Sole evolvano nel tempo. Uno dei modi migliori per farlo è studiare i cluster – gruppi di stelle che si sono formati insieme e condividono la stessa età e composizione. Un cluster chiamato M67, che si trova a circa 3.000 anni luce dalla Terra, ha attirato molta attenzione da parte degli scienziati perché contiene numerose stelle con una composizione chimica simile a quella del Sole, e può offrire quindi uno sguardo sul futuro della nostra stella, fornendo informazioni sui cambiamenti che sperimenterà nel corso di miliardi di anni.
Le firme di frequenza degli starquake in un ampio range di stelle giganti del cluster M67, osservate tramite la missione K2 del telescopio spaziale Kepler della Nasa, sono le protagoniste della ricerca recentemente pubblicata su Nature: «Abbiamo studiato le frequenze emesse dalle stelle in questo cluster mentre evolvevano in subgiganti e giganti rosse, qualcosa che non era mai stato esplorato completamente prima», ha spiegato l’autrice principale dello studio, Claudia Reyes. I ricercatori hanno scoperto che queste stelle rimangono “bloccate suonando la stessa parte della loro melodia” quando il loro strato esterno turbolento raggiunge una regione sensibile all’interno.
«Le stelle sono come registri fossili e portano l’impronta degli ambienti in cui si sono formate» ha precisato Reyes.
L’importanza dell’astrosismologia per ricostruire la storia della Via Lattea è ribadita da Manuele Gangi dell’Agenzia Spaziale Italiana, tecnologo della Direzione Scienza e Innovazione: «Questo studio mostra ancora una volta l’enorme potenziale diagnostico dell’astrosismologia che, attraverso la misura precisa dei parametri stellari, permette di ricavare preziose informazioni per una migliore comprensione su come evolvono le stelle e le galassie». E aggiunge: «Oggi è sempre più crescente l’interesse della comunità scientifica nell’uso di questa tecnica e sono diverse le missioni scientifiche che dedicano una parte significativa del loro tempo a studi di astrosismologia, così come sono in campo nuove idee e proposte di missione che mirano a ottenere dati di maggiore qualità e precisione».
Questi diagrammi mostrano stelle di diverse masse che condividono la stessa età, perché provengono tutte dallo stesso cluster M67. Quando l’involucro stellare (in grigio in questa figura) raggiunge l’anello interno (rosso scuro) che indica la regione sensibile all’interno di una stella, si raggiungono le “frequenze plateau”. Crediti: Claudia Reyes, Australian National University
Foto: Una rappresentazione artistica di una stella gigante rossa
Crediti: Claudia Reyes/Anu