La luce emessa nei dintorni dei buchi neri supermassicci e primordiali è così intensa da arrivare fino a noi nonostante le enormi distanze da coprire, che possono arrivare a 13 miliardi di anni luce. Nonostante questo, ad oggi non sappiamo ancora come si siano formati questi colossi cosmici. Uno studio appena uscito sulla rivista Nature offre un nuovo punto di vista su questo dilemma, dimostrando che il collasso rapido e violento delle galassie può portare alla formazione di buchi neri di grossa taglia. Da quel momento in poi la normale formazione stellare della galassia si interrompe e la formazione del buco nero centrale prende il sopravvento.

Per capire dove si siano formati i buchi neri quando l’Universo era molto giovane bisogna studiare con attenzione le nubi pre-galattiche, ovvero quelle che poi si trasformeranno in galassie, e la velocità con cui crescono. Stando allo studio, la materia oscura si addensa in aloni, che terranno poi insieme gravitazionalmente le galassie. La crescita molto rapida di questi aloni previene la formazione di stelle che potrebbero rappresentare un ostacolo per la nascita dei buchi neri.

«Abbiamo scoperto un meccanismo totalmente nuovo che innesca la formazione di buchi neri massicci all’interno di aloni di materia oscura», dice John Wise, professore del Center for Relativistic Astrophysics e primo autore dell’articolo. «Invece di prendere in considerazione solo la radiazione, dobbiamo occuparci di quanto rapidamente crescono gli aloni. Non abbiamo bisogno di molta fisica per capire come funziona, solo di sapere come si distribuisce la materia oscura e di come si comporterà la gravità. Per formare un buco nero supermassiccio occorre trovarsi in una regione con una concentrazione particolarmente intensa di materia».

Il paradigma finora accettato prevedeva che questi buchi neri molto massicci potessero formarsi solo se sottoposti ad alti livelli di radiazioni. «I modelli suggerivano che la nascita di un buco nero massiccio dovesse accadere solo quando fosse presente molta radiazione, che inibiva la formazione di stelle», spiega John Regan, ricercatore del Centre for Astrophysics and Relativity della Dublin City University e coautore dello studio. «Approfondendo la questione abbiamo visto che le regioni di formazione di questi buchi neri stavano attraversando una fase di crescita molto veloce. Questa era la chiave. La natura turbolenta e violenta dell’addensamento, il crollo delle fondamenta della galassia durante la sua stessa nascita hanno impedito la formazione di stelle e creato le condizioni perfette per la formazione del buco nero. Questo studio sposta il paradigma precedente e apre un’area di ricerca completamente nuova».

«Se da un lato la radiazione è ancora un fattore presente, il nostro lavoro ha dimostrato che non è dominante, almeno nelle nostre simulazioni», dice Michael Norman dell’Università della California di San Diego. Lo studio si è basato sulla suite Renaissance Simulation, un set di dati da 70 terabyte creato sul supercomputer Blue Waters tra il 2011 e il 2014. I ricercatori hanno esaminato le simulazioni e trovato degli aloni di materia oscura che avrebbero dovuto formare stelle, data la loro massa, ma che contenevano solo una densa nube di gas. Hanno quindi simulato di nuovo due di quegli aloni portandoli a risoluzione molto più alta, in modo da studiare in dettaglio ciò che stava accadendo quando l’Universo aveva 270 milioni di anni. «È solo in queste regioni sovradense che abbiamo visto formarsi i buchi neri», spiega Wise. «Il grosso della gravità lo forma la materia oscura, e poi il gas cade nella buca di potenziale, dove può formare stelle o un enorme buco nero».

Un altro aspetto interessante di questo studio è che mostra come gli aloni di materia oscura che danno vita ai buchi neri supermassicci sono più comuni di quanto si pensasse in precedenza. Per il futuro, i ricercatori si ripromettono di esaminare il ciclo di vita di queste galassie che contengono buchi neri, studiandone, oltre alla formazione, la crescita e l’evoluzione nel tempo.