La storica Caterina Brazzi Castracane ci accompagna alle origini dei proverbi meteorologici, mentre il climatologo Stefano Tibaldi del Cmcc chiarisce la differenza tra meteo e clima, spiegando perché un singolo evento estremo non basta a raccontare il riscaldamento globale. Con lui impariamo a guardare al “film intero” del clima, fatto di dati, statistiche e probabilità.
Lo sguardo si allarga poi allo spazio: Simona Zoffoli, Responsabile del settore downstream e applicazioni di Osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Italiana, racconta come i satelliti abbiano rivoluzionato lo studio del nostro pianeta, permettendoci di monitorare gas serra, ghiacci, oceani ed eventi estremi su scala globale e nel lungo periodo. Ecco perché il futuro del clima è legato a doppio filo allo spazio: il bagaglio di conoscenze offerto dai satelliti è fondamentale non soltanto per capire meglio il nostro pianeta e il clima che cambia, ma anche per agire in modo da contrastare davvero la crisi climatica.
Mezze Stagioni è un podcast dell’Agenzia Spaziale Italiana per capire il clima che cambia con uno sguardo storico-spaziale.
Autori: Giulia Bonelli e Giuseppe Nucera
Storia dei proverbi: Caterina Brazzi Castracane
Post-produzione: Paola Pagone
Musica: Luca Cipriani
Consulenza su identità visiva e social: Italiaonline
Consulenza editoriale: Daniela Amenta
Coordinamento editoriale: Giuseppina Pulcrano e Manuela Proietti
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Caterina Brazzi Castracane. Che cosa c’è di più piacevole della primavera, quando un dolce tepore prende il posto del gelo dell’inverno e la natura si risveglia? D’inverno fa troppo freddo, d’estate fa troppo caldo, ma l’autunno e la primavera, quelli sì, dovrebbero essere veramente piacevoli. Ogni volta che primavera e autunno non si comportano come vorremmo, se ad esempio piove in modo che giudichiamo eccessivo, come privarci di una buona lamentela invocando i bei tempi andati, quando tutto era come dovrebbe essere?” Questo era Alberto Viotto, nel suo Il libro dei proverbi falsi. E in effetti se sentiamo qualcuno dire che “non ci sono più le mezze stagioni” ci chiediamo quali siano mai queste mezze stagioni passate ormai estinte; come se la nostalgia per il passato dovesse coinvolgere necessariamente anche la meteorologia. Eppure, come quasi tutti i modi di dire, anche questo proverbio ha origini molto antiche. Anche il noto passatista Giacomo Leopardi, del resto, ne sapeva qualcosa. Tra i pensieri sparsi del suo Zibaldone, leggiamo: “Egli è pur certo che l’ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi son più, e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre che in sua gioventù a Roma, la mattina di Pasqua di resurrezione ognuno si rivestiva da estate. Adesso chi non ha bisogno d’impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno”. Il favoloso poeta qui si riferiva alle lettere familiari di Lorenzo Magalotti, vissuto a cavallo tra il 1600 e il 1700, durante la cosiddetta Piccola era glaciale, un prolungato periodo di quasi tre secoli caratterizzato da intense gelate e forti nevicate. Tanto forte era stato l’impatto sociale di quel cambiamento climatico, che Leopardi, con ironico e sarcastico piglio, chiosava con questa riflessione: “L’Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia, se da quell’anno a questo, fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora”. E pensare che invece oggi, il clima del Sud Europa si sta sempre più avvicinando al clima africano. Altro che mezze stagioni.
Giulia Bonelli. Ecco, a questo punto penserete, anche giustamente, che all’Agenzia Spaziale Italiana sono completamente impazziti, perché hanno chiamato gente che usa i proverbi per parlare di scienza. E invece eccoci qua, e se ci date ancora due minuti capirete subito che intenzioni abbiamo. Già, perché i proverbi sono pieni di antiche credenze ispirate al mondo che ci circonda, tramandati attraverso generazioni e regioni, e adattati nei diversi dialetti di cui ancora è ricchissima l’Italia. Ma che cosa c’è di vero in questi antichi proverbi? Quali sono le loro basi scientifiche, e in che modo la crisi climatica che stiamo vivendo li sta modificando, adattando, riscrivendo? Io sono Giulia Bonelli e questo è Mezze Stagioni, un podcast dell’Agenzia Spaziale Italiana per capire il clima che cambia con uno sguardo storico-spaziale. Qui allargheremo lo sguardo sul nostro pianeta attraverso gli occhi dei satelliti e le voci di astronomi, climatologi, fisici, esperti di osservazione della Terra. E percorreremo i cosiddetti ‘proverbi metereologici’ dei nostri nonni e delle nostre nonne, accompagnati dalla storica Caterina Brazzi Castracane, ospite fissa del podcast, che avete già sentito in apertura. E allora iniziamo subito con una domanda: quando diciamo “non ci sono più le mezze stagioni” a che cosa ci riferiamo, al meteo? Al clima? Insomma, in che modo la meteorologia si interseca con la storia della crisi climatica che stiamo vivendo, una delle più urgenti sfide del nostro secolo? Lo abbiamo chiesto a Stefano Tibaldi, geofisico e climatologo del Cmcc, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. L’intervista è di Giuseppe Nucera, per la rubrica “Climi tempestosi”.
Giuseppe Nucera. Tempo, meteo, clima. Capita a volte di utilizzare in modo inappropriato questi termini rischiando di confondere non solo i fenomeni atmosferici di breve o lungo periodo, ma anche le scienze che studiano e fanno previsioni per gli uni o gli altri processi. Per fare un po’ di chiarezza su ciò che distingue la climatologia dalla meteorologia, e comprendere il loro ruolo nello studio del cambiamento climatico, abbiamo qui con noi, Stefano Tibaldi, fisico con 50 anni di esperienza in ricerche internazionali in ambiti quali la meteorologia dinamica, la climatologia e la modellistica atmosferica.
Stefano Tibaldi. La differenza fra climatologia e meteorologia, fra clima e meteo è la differenza fra il singolo fotogramma di un film e il film intero. Non può esistere climatologia senza dati meteorologici prima, mentre la meteorologia si interessa in particolar modo di condizioni istantanee del tempo meteorologico o perlomeno di breve periodo, la climatologia invece è molto più interessata a quelle che i tecnici chiamano le proprietà statistiche dei dati meteorologici. Non soltanto la media, ma anche tutte le proprietà statistiche un pochino più complicate, un pochino più sofisticate, come la variabilità di eventi estremi, le probabilità di accadimento degli eventi estremi stessi. La climatologia senza i dati meteorologici non ha senso perché non si può fare statistica di dati che non siano già ragionevolmente noti.
Giuseppe Nucera. Spesso ci si aggancia alla prima nevicata invernale o a qualche giorno di freddo intenso per mettere in dubbio che il riscaldamento globale sia veramente in atto. Perché un evento meteorologico singolo pur estremo, come una forte nevicata o al contrario un’ondata di calore, non può essere sufficiente per comprendere come si sta evolvendo il clima a lungo termine?
Stefano Tibaldi. Talvolta risulta difficile o perlomeno sorprendente diciamo capire come il cambiamento della temperatura media globale di un grado abbia una rilevanza importante sulla vita delle persone sulla nostra vita quando la temperatura da un giorno all’altro può cambiare di quasi 20 gradi nei casi più estremi. Perché una piccola variazione della media è in realtà molto importante? Perché associata a quella piccola variazione della media ci sono delle variazioni locali diciamo su aree molto più piccole e su periodi di tempo molto più brevi molto molto molto più grandi e ci sono variazioni soprattutto anche nelle proprietà statistiche e cioè nel clima e quindi anche per esempio nella probabilità nella frequenza di accadimento di eventi estremi che sono poi quelli che influenzano di più la nostra vita. Non c’è niente da fare: l’esperienza umana da un giorno all’altro da una settimana all’altra da un anno all’altro non è lo strumento migliore per dare dei giudizi fondati sul cambiamento climatico, a mio parere. Perché pensate a qual è l’escursione termica legata al ciclo diurno: ci sono delle stagioni, dei momenti dell’anno in cui anche alle nostre latitudini dell’area mediterranea, nell’arco delle 24 ore, un’escursione termica di 12, 13, 14, 15 gradi è del tutto possibile. Pensiamo alle escursioni termiche legate al ciclo annuale, passare da meno 5 a più 40 è un’escursione termica annuale di oltre 40 gradi. Allora che cos’è quel grado, grado e mezzo rispetto a un’escursione termica di 50 gradi? Poca roba. Siamo sempre talmente nella soggettività che io credo che l’unica maniera che hanno le persone di rispondere alla domanda “ma il cambiamento climatico esiste veramente?” sia quello di fidarsi dei dati che la scienza gli fornisce, che sono molto più solidi della nostra esperienza quotidiana.
Giuseppe Nucera. Uno dei concetti fondamentali è la predicibilità delle condizioni meteoclimatiche: ma quale differenza c’è tra le previsioni del meteo a cui ci affidiamo per capire se il prossimo weekend sarà piovoso o soleggiato e i diversi scenari climatici realizzati dagli scienziati che mostrano invece verso quale evoluzione climatica globale approderemo tra 50 o 100 anni?
Stefano Tibaldi. Tutto questo è basato sul fatto che non siamo più interessati a sapere se pioverà fra venti anni il 23 di luglio su questo giardino, ma siamo interessati a sapere se siccità di breve durata o di media durata o di lunga durata saranno più frequenti o meno frequenti fra dieci anni o vent’anni. Se le ondate di calore in zona mediterranea saranno più o meno frequenti fra vent’anni, trent’anni o quarant’anni. Quindi la nostra attenzione si sposta da fenomeni istantanei, di scala piccola a fenomeni di lunga durata e di scala grande che aggirano la predicibilità finita della dinamica della nostra atmosfera accoppiata agli oceani che deriva dalla caoticità del sistema. E quindi questa caoticità può venire aggirata dal fatto che noi non guardiamo più alle cose rapide, brevi e su scala piccola ma guardiamo a fenomenologie su scala temporale molto più lunga, quindi su tempi molto più lunghi e su scala essenzialmente globale.
Giuseppe Nucera. Gli occhi tramite cui la scienza monitora il clima globale sono le osservazioni satellitari: questa tecnologia riesce dallo spazio a fornire dati solo sui fenomeni meteorologici, quindi il singolo fotogramma, o anche sull’evoluzione climatica a lungo termine, dunque il film intero?
Stefano Tibaldi. Le osservazioni satellitari sono state forse la più grande rivoluzione che la meteoclimatologia ha visto nell’arco per lo meno della mia vita. I primi satelliti non misuravano quantitativamente essenzialmente quasi nulla, ci davano solo delle immagini. Già alla fine degli anni ‘70 hanno cominciato a sfornare talmente tanti dati trasformando completamente la tecnologia delle previsioni meteorologiche da una parte ma anche della nostra capacità di valutare il clima. Se i dati da satellite scomparissero tutti da un giorno all’altro credo che il sistema della meteoclimatologia mondiale verrebbe attraversato da uno shock per rifarsi dal quale ci vorrebbe quantità di anni impressionante.
Giulia Bonelli. Questo era Stefano Tibaldi, geofisico e climatologo del Cmcc, che ci ha accompagnato a capire un po’ meglio la differenza tra clima e meteo e le scienze che li studiano. Avete sentito, in chiusura Tibaldi parlava dello shock che subirebbe la meteoclimatologia se di colpo non avesse più a disposizione l’enorme patrimonio scientifico dei dati satellitari. Già, perché in un tempo relativamente breve, diciamo negli ultimi 50, 60 anni, i satelliti hanno completamente rivoluzionato il modo di pensare al clima, offrendoci uno sguardo nuovo sul nostro pianeta e anche sugli effetti devastanti della crisi climatica su larga scala. E allora cerchiamo di capirla un po’ meglio, questa rivoluzione satellitare. Lo facciamo grazie all’aiuto di una persona che con i satelliti lavora tutti i giorni, maneggiando i dati e studiando le loro possibili applicazioni anche alla scienza del clima. Lei è Simona Zoffoli, responsabile del settore downstream e applicazioni di Osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Italiana. E iniziamo con il chiederle: in che modo i satelliti hanno cambiato lo studio del nostro pianeta?
Simona Zoffoli. Senz’altro la tecnologia satellitare ha cambiato in maniera molto significativo la nostra visione del mondo. Per spiegare un pochino in che modo i satelliti hanno dato valore alla conoscenza della Terra, possiamo per esempio fare un’analogia con la rivoluzione di Internet. Prima un ragazzo per fare una ricerca aveva a disposizione un numero limitato di fonti, i libri a casa, una biblioteca… Ora ha a disposizione Internet e l’accesso a centinaia di biblioteche, una fonte infinita di informazioni. Ecco, l’avvento dei satelliti ha avuto un impatto simile sulla conoscenza della Terra. Prima, per raccogliere dei dati bisognava organizzare delle campagne di misura in luoghi specifici, fare spedizioni anche molto complicate se si trattava di raggiungere zone remote, come per esempio gli oceani, i deserti, le aree polari, e si riusciva a raccogliere misure una tantum in maniera molto limitata per quanto riguarda l’estensione geografica. Ora invece i satelliti ci permettono di osservare tutta la Terra in maniera continua a livello globale e di raccogliere informazioni essenziali per studiare l’atmosfera, l’oceano, il territorio, la criosfera, con delle ricadute applicative per quanto riguarda i cambiamenti climatici e i disastri naturali.
Giulia Bonelli. Ecco, fino a una sessantina di anni fa tutte queste applicazioni erano assolutamente inimmaginabili. Il primo satellite meteorologico della storia, TIROS-1, è stato messo in orbita dalla Nasa nel 1960. Da allora, da quel primo storico lancio, quali sono i principali passi avanti che ha fatto la tecnologia satellitare?
Simona Zoffoli. Ora ci sono centinaia di satelliti di osservazione della terra in orbita che permettono di misurare tantissime variabili, ad esempio la temperatura del mare, l’altezza delle onde, la velocità e la direzione del vento, la concentrazione di gas dell’atmosfera, lo stato della vegetazione, i movimenti della superficie terrestre. Ora, tutte queste informazioni, insieme ai dati misurati a terra, ai modelli e alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale, ci aiutano non solo a conoscere e a studiare la terra, ma sono strumenti essenziali per cercare di conservarla e di proteggerla.
Giulia Bonelli. Oggi quindi abbiamo a disposizione una grandissima quantità di dati provenienti da centinaia di satelliti che osservano dall’alto il nostro pianeta. Ci racconta un po’ in che modo tutto questo avviene dal punto di vista pratico? Partiamo dall’inizio: prima di tutto che cosa caratterizza i diversi tipi di satellite oggi in orbita?
Simona Zoffoli. I satelliti per l’osservazione della Terra si differenziano tra di loro per la tipologia dello strumento che ospitano a bordo e soprattutto per il tipo di orbita. E tutte queste variabili vengono definite in fase di programmazione di una missione satellitare in base alla funzione che i satelliti devono svolgere. Per esempio, per monitorare condizioni meteorologiche su aree molto vaste con una osservazione ripetuta nel tempo, è utile che un satellite si trovi in un’orbita geostazionaria, che è un’orbita dalla quale si può osservare in maniera continua quasi l’intero emisfero della Terra, perché l’orbita è molto alta, sta a circa 36.000 chilometri. Però è difficile avere in questo modo un’alta risoluzione spaziale – ma per le applicazioni come osservare sistemi nuvolosi, non è necessaria una altissima risoluzione spaziale. Invece, per applicazioni che richiedono immagini ad alta risoluzione e su un’area molto molto specifica, come per esempio l’osservazione di un lago o la mappatura di edifici danneggiati da un evento naturale, catastrofico, bisogna avere dei sensori con un’alta risoluzione e di solito si usano sensori su missioni in un’orbita LEO, cioè in un’orbita bassa intorno diciamo ai 600 chilometri dalla Terra. In questa tipologia di orbita non è possibile monitorare in maniera continua la stessa area perché c’è il movimento relativo del satellite rispetto alla Terra. Però si può ritornare su questa determinata area e il satellite può acquisire ogni tot giorni.
Giulia Bonelli. Quindi abbiamo satelliti che orbitano molto in alto e ci permettono una visione d’insieme del nostro pianeta ma senza cogliere i dettagli, e satelliti che orbitano più in basso e che ci permettono di ottenere immagini ad altissima risoluzione di singole zone ma senza avere una visione complessiva. Oggi i dati provenienti da queste diverse tipologie di satelliti vengono combinati per cercare di ottenere una panoramica sempre più completa del nostro pianeta, anche in base ai diversi parametri misurati. A tal proposito, come si differenziano i principali strumenti a bordo dei satelliti e in che modo questi strumenti raccolgono i dati che poi arrivano a voi ricercatori e a tutti quei soggetti che ogni giorno utilizzano i dati satellitari?
Simona Zoffoli. Per quanto riguarda invece gli strumenti questi possono in linea di massima essere divisi in due categorie. Ci sono strumenti attivi e strumenti passivi. Gli strumenti passivi misurano la radiazione che viene emessa o riflessa dalla superficie. Gli strumenti attivi, invece, hanno a bordo un sistema che permette di illuminare la superficie e di raccogliere poi la radiazione di ritorno. Poi che succede? Che i dati che vengono raccolti a bordo vengono trasmessi alle stazioni di terra e da qui ai centri che si occupano di elaborare e di ricavarne poi l’informazione, il valore è effettivo ed è molto importante per alcuni utilizzi che tutta questa catena di trasmissione dall’acquisizione alla trasmissione a Terra l’elaborazione e la distribuzione del dato avvenga nel minor tempo possibile. Pensiamo per esempio ad applicazioni per il monitoraggio degli incendi boschivi o alla individuazione di aree inondate durante un’alluvione. È importante che questa informazione raggiunga poi chi si deve occupare della gestione del rischio nel tempo minore possibile in modo che possa mettere in atto le azioni possibili di contrasto.
Giulia Bonelli. In questa puntata abbiamo visto anche come i dati satellitari abbiano fornito un contributo fondamentale alla scienza del clima, permettendo di analizzare gli effetti del cambiamento climatico su larga scala. Simona Zoffoli, lei in particolare si occupa del settore cosiddetto downstream, che indica appunto la capacità di produrre informazioni geospaziali grazie all’utilizzo dei dati satellitari – informazioni che poi possono essere utilizzate per diverse applicazioni, come il monitoraggio ambientale, la gestione delle emergenze, eccetera. Ecco, In che modo questi servizi di downstream satellitare stanno aiutando lo studio del clima?
Simona Zoffoli. Senz’altro negli ultimi decenni i satelliti di osservazione della Terra ci hanno offerto una visione veramente senza precedenti del mondo e sono diventati uno strumento essenziale per monitorare i cambiamenti climatici. Ora possiamo guardare indietro attraverso quarant’anni di osservazioni per molte componenti climatiche e questo è un tempo sufficiente per studiare i cambiamenti. Ad esempio, i satelliti vengono utilizzati per rilevare le variazioni di concentrazione di gas serra in atmosfera, come di anidride carbonica e metano, che sono i principali responsabili del cambiamento climatico indotto dall’uomo, e stanno aiutando la comunità scientifica a migliorare queste osservazioni satellitari i modelli climatici globali e a prevedere meglio il probabile effetto del riscaldamento e gli impatti che derivano dall’aumento dei livelli di gas serra nell’atmosfera. Un altro esempio è legato allo scioglimento dei ghiacci. I satelliti possono misurare le perdite di ghiaccio sulle calotte glaciali, fornendo anche informazioni chiave sul loro stato, sia passato che sullo stato attuale. E anche in questo caso i dati vengono utilizzati per migliorare i modelli per stimare il contributo futuro dello scioglimento del ghiaccio all’innalzamento del livello del mare, che è fondamentale per informare le politiche e supportare azioni di mitigazione per proteggere, per esempio, le aree costiere.
Giulia Bonelli. Abbiamo visto che il futuro del clima è legato a doppio filo allo spazio. Tutto questo bagaglio di conoscenze offerto dai satelliti, come ci ha raccontato Simona Zoffoli, è davvero fondamentale. E lo è non soltanto per capire meglio il nostro pianeta e il clima che cambia, ma anche per agire. Agire in modo da contrastare davvero la crisi climatica, senza fermarsi semplicemente a constatare che, ahimè, oggi non ci sono più le mezze stagioni – come già dicevano i proverbi che ci hanno insegnato le nostre nonne e i nostri nonni. E come anche molti di voi ci hanno ricordato, rispondendo a una campagna social che abbiamo lanciato qualche tempo fa, in cui vi chiedevamo di mandarci degli audio su questi proverbi. Ecco se ci state ascoltando, se avete riconosciuto la vostra voce, vi ringraziamo per il vostro contributo nel vostro bellissimo dialetto regionale. E su questo io vi saluto, e vi do appuntamento al prossimo episodio di Mezze Stagioni.




