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Un pianeta ghiacciato, remoto e ancora poco conosciuto che sino ad oggi è stato ‘visitato’ brevemente solo dalla sonda Voyager 2 della Nasa il 24 gennaio 1986: si tratta di Urano, il settimo pianeta del Sistema Solare che torna agli onori della cronaca per uno studio relativo alle sue lune più piccole e interne. L’indagine, curata da un gruppo di ricercatori statunitensi, è stata coordinata dall’Università dell’Idaho e verrà presentata il 18 dicembre prossimo al convegno annuale dell’American Geophysical Union (Agu 2025) che si svolgerà a New Orleans. Gli scienziati si sono basati su osservazioni condotte con il telescopio James Webb, la cui sensibilità nell’infrarosso ha permesso di individuare nuovi dettagli su questo insieme di lune.
A partire dallo storico sorvolo della Voyager 2, cui hanno fatto seguito varie osservazioni da parte di telescopi spaziali e di terra, Urano e il suo sistema continuano a riservare sorprese alla comunità scientifica. Prima della visita della sonda Nasa, gli astronomi sapevano che il pianeta aveva cinque satelliti naturali e alcuni anelli: il flyby di Voyager svelò un sistema molto più complesso, dotato di sedici lune e undici anelli. In quasi 40 anni di ulteriori osservazioni, la ‘famiglia’ delle lune di Urano è cresciuta fino ad annoverare 29 componenti; l’ultimo, denominato temporaneamente S/2025 U1, è stato scoperto dallo stesso team di ricercatori a febbraio di quest’anno e proprio con il telescopio Webb.
Gli autori dello studio hanno osservato Urano e il suo entourage, utilizzando il Webb a diverse lunghezze d’onda nell’infrarosso: in questo modo il pianeta appare più fioco ed è possibile visualizzare meglio i corpi celesti che gli orbitano intorno. Inoltre, alcune caratteristiche delle lune che gli scienziati intendevano rilevare (come il ghiaccio d’acqua) sono particolarmente osservabili nell’infrarosso. Dai dati spettrali raccolti dal telescopio emergono alcune peculiarità che differenziano le lune piccole e interne da quelle maggiori che orbitano più lontano dal pianeta: le loro superfici sono più rosse, più scure e meno ricche d’acqua rispetto allo storico quintetto costituito da Miranda, Ariel, Umbriel, Titania e Oberon.
C’è però un’eccezione: la luna Mab, ampia appena dieci chilometri, appare più blu e più ricca d’acqua. Questi tratti la rendono molto simile a Miranda, la più interna tra le lune maggiori; una caratteristica che ha indotto gli studiosi a ipotizzare un qualche legame tra i due corpi celesti. Ad esempio, potrebbero essersi incontrati durante il passato caotico del pianeta e il loro ‘appuntamento’ potrebbe essere connesso all’anello Mu di Urano, che probabilmente è stato creato da materiale proveniente da Mab.
Inoltre, gli scienziati stanno approfondendo le dinamiche orbitali di queste lune interne: infatti, le loro posizioni appaiono differenti nei dati della Voyger 2 e in quelli del Webb. Probabilmente la visita breve della sonda Nasa non ha consentito di raccogliere informazioni molto precise, ma il team della ricerca ipotizza che vi possano essere in atto delle dinamiche al momento sconosciute.
Il sistema interno di Urano, secondo gli studiosi, potrà riservare ancora sorprese e per questo è meritevole di ulteriori osservazioni mirate a comprendere anche l’origine di queste lune: potrebbero essere frammenti risalenti alla formazione degli anelli di Urano oppure prodotti da collisioni o ancora piccoli corpi celesti catturati dalla sua gravità.
In alto: Urano in un’immagine realizzata dal telescopio Webb con la NirCam (Crediti: Nasa, Esa, Csa, StSci)




