4000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000, ovvero 4 seguito da 84 zeri. Questo numero letteralmente “astronomico”, che rappresenta la somma di tutti i fotoni emessi finora dalle stelle nell’universo fin quasi dall’inizio della sua storia, è stato stimato per la prima volta da un team internazionale di scienziati grazie ai dati raccolti in oltre 9 anni dal Large Area Telescope di Fermi, missione spaziale della Nasa, con una fondamentale partecipazione italiana grazie ai contributi dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (infn) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Lo studio è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science ed è basato sull’analisi dell’emissione di raggi gamma di un esteso campione di galassie attive distanti, che ha permesso di stimare il tasso di formazione delle stelle e fornire un riferimento per le future missioni che esploreranno gli albori dell’evoluzione stellare.
La luce emessa da tutte le galassie nel corso della storia dell’Universo produce quella che è nota come luce extragalattica di fondo (EBL) alle lunghezze d’onda ultravioletta, ottica e infrarossa. Questa luce di fondo rappresenta una fonte di “opacità” per i raggi gamma, e lascia un’impronta negli spettri delle sorgenti gamma distanti. I ricercatori hanno misurato questa attenuazione utilizzando come riferimento 739 galassie attive e un lampo gamma veloce rilevato dal Fermi Large Area Telescope. Ciò ha permesso di ricostruire l’evoluzione della luce extragalattica di fondo e di determinare la storia della formazione stellare dell’Universo per oltre il 90 per cento della sua evoluzione.
«Grazie ai dati raccolti dal telescopio Fermi, siamo stati in grado di misurare l’intera quantità di luce stellare mai emessa», dice Marco Ajello della Clemson University, primo autore dello studio. «Le stelle creano la maggior parte della luce che vediamo e sintetizzano la maggior parte degli elementi pesanti dell’universo, come il silicio e il ferro. Capire l’universo in cui viviamo dipende in gran parte dalla nostra comprensione di come si sono evolute le stelle».
Uno degli obiettivi principali della missione Fermi, che quest’anno ha celebrato il suo decimo anniversario, è stato quello di fare una stima della luce di fondo extragalattica, una sorta di “nebbia” cosmica composta da luce ultravioletta, visibile e infrarossa che le stelle hanno creato nel corso della storia dell’universo. Infatti, poiché la luce stellare continua a viaggiare attraverso il cosmo molto tempo dopo che le sue sorgenti sono esaurite, misurare la Ebl permette agli astronomi di studiare la formazione e l’evoluzione stellare in modo indipendente dallo studio dalle indagini sulle stelle stesse.
«In generale, sfruttiamo la radiazione gamma rivelata dai nostri osservatori in orbita per studiare gli oggetti celesti. In questo caso, invece, quantifichiamo l’assenza di radiazione gamma per censire la luce che pervade l’universo», spiega Patrizia Caraveo, responsabile per l’Inaf dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi-Lat. «È affascinante vedere cosa si può ricavare dall’evidenza di una assenza. Esaminando, galassia per galassia, il deficit nell’emissione gamma che noi abbiamo misurata rispetto a quella che pensiamo esse abbiano prodotto, possiamo stimare la quantità di fotoni killer che sono stati prodotti da tutte le stelle che hanno brillato in qualche epoca nel nostro universo. Un risultato veramente “universale”, che bene si presta a festeggiare i 10 anni di vita orbitale della missione Fermi».
Identificare con un numero la quantità di luce stellare mai prodotta è davvero arduo, viste le tante variabili in gioco, ma lo studio stima che il numero di fotoni emessi fino ad ora dalle stelle del nostro Universo ammonti all’incredibile cifra di 4×1084, appunto quel 4 seguito da una sfilza di 84 zeri.
Ajello e il suo team hanno analizzato quasi nove anni di dati disponibili per i segnali gamma di 739 blazar, galassie contenenti buchi neri supermassicci in grado di rilasciare getti di particelle energetiche attraverso il cosmo a una velocità vicina a quella della luce. Quando uno di questi getti è puntato direttamente sulla Terra, è rilevabile anche se molto distante. I fotoni dei raggi gamma prodotti all’interno dei getti si scontrano con la “nebbia” cosmica, lasciando un’impronta osservabile. Questo ha permesso di misurare la densità della nebbia non solo in un dato luogo ma anche in un dato momento della storia dell’universo. «La luce gamma che viaggia attraverso la nebbia provocata dall’Ebl ha una grande probabilità di essere assorbita», dice Ajello. «Misurando quanti fotoni sono stati assorbiti, siamo stati in grado di misurare lo spessore della nebbia e anche, come funzione del tempo, quanta luce c’era nell’intera gamma di lunghezze d’onda».
La misura quintuplica il numero di blazar rispetto a quelli utilizzati in una precedente analisi sulla luce extragalattica di fondo fatta con Fermi e pubblicata nel 2012, e include nuovi calcoli su come l’Ebl si costruisce nel tempo, rivelando che il picco di formazione delle stelle risalirebbe a circa 10 miliardi di anni fa.
La nuova misurazione della EBbl fornisce inoltre un’importante conferma delle precedenti stime di formazione stellare provenienti da altre missioni, come Hubble, che però non riescono a misurare stelle e galassie più deboli e non possono tener conto della formazione stellare che avviene nello spazio intergalattico. «Questa è una conferma indipendente delle precedenti misurazioni dei tassi di formazione stellare», conclude David Thompson, deputy project scientist di Fermi presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, a Greenbelt. «In astronomia, quando due metodi completamente indipendenti danno la stessa risposta, di solito significa che stiamo facendo qualcosa di giusto. In questo caso stiamo misurando la formazione stellare senza guardare le stelle, ma osservando i raggi gamma che hanno attraversato il cosmo».