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Acqua sotto stretta sorveglianza: il prezioso liquido, minacciato dalla crisi climatica e da un uso poco razionale in molte attività umane, è più che mai al centro dell’attenzione ed è protagonista di una ricerca che ne illustra l’andamento delle perdite negli ultimi vent’anni. Lo studio, basato su informazioni satellitari, è stato pubblicato su Science Advances ed è stato coordinato dalla Scuola di Sostenibilità dell’Università Statale dell’Arizona. I dati utilizzati sono stati acquisiti dalle missioni Grace (progetto congiunto Nasa-agenzia spaziale tedesca Dlr) e Grace-Fo (follow on della prima, progetto congiunto Nasa-German Research Center for Geosciences).

Grace (Gravity Recovery And Climate Experiment) è stata attiva dal 2002 al 2017, mentre il seguito Grace-Fo, lanciato nel 2018, è ancora operativo. Le due missioni hanno svolto la loro attività di monitoraggio misurando i mutamenti nella forza della gravità della Terra; questo valore può cambiare anche in ragione dell’andamento delle riserve d’acqua. Nello specifico, Grace e Grace-Fo sono costituite da due satelliti uguali che volano uno dietro l’altro. Quando il satellite ‘leader’ sorvola una regione con una massa maggiore (ad esempio, un’area con più acqua rispetto a un’altra), il leggero cambiamento nella gravità lo spinge in avanti, facendo aumentare la lontananza tra i due componenti della coppia. I loro strumenti laser e a microonde misurano i piccoli cambiamenti nella distanza, svelando i dettagli sulla massa d’acqua complessiva che è all’origine di tali cambiamenti.

I dati acquisiti dalle due coppie di satelliti hanno evidenziato che, dal 2002 in poi, c’è stato un forte incremento nella perdita di risorse idriche sia di superficie, come laghi e fiumi, sia sotterranee, come le falde acquifere. Nelle aree in cui si è verificata questa diminuzione si sono successivamente formate delle regioni caratterizzare da un’aridità molto pronunciata, definite mega-drying regions e diffuse lungo l’emisfero settentrionale della Terra. Il fenomeno ha interessato persino zone in cui il tasso di umidità aveva mostrato precedentemente una tendenza alla crescita.

La carenza di acqua dolce ha pesanti ripercussioni in vari ambiti, da quello economico a quello sanitario, e sta colpendo soprattutto le aree della Terra che già avevano problemi di approvvigionamento idrico o che già erano entrate in una fase di desertificazione. Gli scienziati spiegano che la decrescita delle riserve idriche è dovuta in primis alla loro cattiva gestione da parte dei soggetti preposti, soprattutto per quanto riguarda le falde acquifere; le acque sotterranee, tra l’altro, sono un tipo di risorsa che lo studio ha definito ‘intergenerazionale’ proprio perché non può essere reintegrata in tempi brevi, quindi nell’arco della vita di una generazione.

Anche la crisi climatica ha svolto un ruolo in questo impoverimento. L’andamento della siccità, infatti, ha visto un’impennata nel 2014 in corrispondenza di El Niño, un fenomeno naturale ciclico che produce variazioni nelle temperature superficiali delle acque dell’Oceano Pacifico e può influire sugli schemi climatici a livello globale. In questo caso El Niño si è protratto sino al 2016, producendo uragani nel Pacifico, una siccità devastante in Africa e un rialzo record delle temperature ovunque. Il fenomeno inverso, La Niña, che in genere favorisce condizioni climatiche più fresche, non è riuscito questa volta ad avere un’azione incisiva e a frenare la perdita dell’acqua.

Dato che gli effetti della crisi climatica possono essere imprevedibili e difficili da controllare, gli autori dello studio ritengono che sia indispensabile adottare subito misure volte a migliorare la gestione dell’acqua, per tutelare soprattutto le riserve più fragili come le falde.

In alto: i satelliti Grace-Fo (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech)