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C’è un pianeta, a circa 400 anni luce da noi, che sembra essersi messo in testa di autodistruggersi. Si chiama Hip 67522 b ed è al centro di una scoperta sorprendente: non solo orbita così vicino alla propria stella da farsi letteralmente consumare dalle radiazioni, ma è anche in grado di innescare, da solo, violente esplosioni di energia che stanno divorando la sua fragile atmosfera.
A raccontare questa scoperta è un team di astronomi guidato da Ekaterina Ilin, ricercatrice presso l’Istituto Olandese per la Radioastronomia (Astron). Lo studio, condotto grazie a una combinazione dei telescopi spaziali Tess della Nasa e Cheops dell’Esa, cui l’Agenzia Spaziale Italiana ha dato il suo contributo, è stato pubblicato su Nature.

«Cheops è una missione di classe Small del Programma Cosmic Vision 2015-2025 di Esa, lanciata il 18 dicembre 2019 da Kourou, la cui vita operativa è stata estesa fino a tutto il 2026. L’obiettivo principale di Cheops è fornire le dimensioni precise di pianeti di raggio uguale o maggiore della nostra Terra già scoperti e di cui è nota la massa», spiega Barbara Negri, Vice direttore Direzione Scienza e Innovazione e Responsabile Ufficio Volo Umano e Sperimentazione dell’Agenzia Spaziale Italiana.«L’Asi, con il supporto scientifico dell’Inaf e dell’Università di Padova, ha gestito la realizzazione del telescopio Ritchey-Chrétien (diametro di 32 cm) guidata da Leonardo, Campi Bisenzio con la collaborazione di Tasi, Torino e Media Lario, Lecco. Gli ottimi risultati sulla performance del telescopio sono dovuti alla grande esperienza dell’industria italiana sui sistemi ottici per lo spazio e hanno contribuito a consolidare la leadership europea che il nostro Paese detiene in questo campo».

Hip 67522 b è grande quasi quanto Giove, ma con una densità impalpabile, simile a quella di un batuffolo di zucchero filato. La sua stella madre, Hip 67522, è leggermente più grande e fredda del Sole, ma molto più giovane: appena 17 milioni di anni contro i 4,5 miliardi della nostra stella. Il pianeta compie un’orbita completa in soli sette giorni, segno che si trova estremamente vicino alla stella. Questa vicinanza è cruciale, perché il pianeta ‘smuove’ il campo magnetico della stella. Finora, gli astronomi pensavano che i brillamenti stellari fossero generati esclusivamente da processi interni alla stella stessa, ma questa scoperta ribalta le carte: mentre orbita, infatti, il pianeta raccoglie energia e la reindirizza lungo le linee di campo magnetico stellare, come se sferzasse una corda tesa.
Quando queste onde magnetiche colpiscono la superficie stellare, possono liberare l’energia accumulata nelle linee di campo, innescando brillamenti centinaia di volte più potenti di quanto previsto dai modelli teorici. Molte di queste violente esplosioni avvengono proprio quando il pianeta transita davanti alla stella, rendendo quasi certa la connessione diretta tra la presenza del pianeta e le esplosioni di radiazione.

Ora, essere bombardato da così tanta energia non è esattamente salutare per un pianeta. Hip 67522 b sta infatti perdendo la sua atmosfera a una velocità impressionante. Nel giro di 100 milioni di anni, potrebbe passare dall’essere un ‘quasi Giove’ a ridursi alle dimensioni di Nettuno. Un dettaglio ancora più inquietante è che i brillamenti innescati dal pianeta sono diretti verso sé stesso. In altre parole, Hip 67522 b si sta condannando a un’esposizione a radiazioni sei volte superiore a quella che subirebbe in condizioni normali.

A rendere possibile questa scoperta, dicevamo, è stato anche il telescopio Cheops. Progettato per misurare dimensioni e atmosfere degli esopianeti, e non per andare a caccia di brillamenti, Cheops si sta rivelando prezioso anche per ricerche che vanno ben oltre la sua missione originaria. Il prossimo passo sarà trovare sistemi simili, così da raccogliere stime più accurate delle popolazioni di questi pianeti kamikaze.

«La partecipazione dei Paesi Membri di Esa interessati alla missione Cheops è regolata da un Multi-Lateral Agreement, per il quale l’Italia, in fase di sviluppo, è stata responsabile del disegno e della realizzazione della parte ottica del telescopio, della sua integrazione e test nella struttura in fibra di carbonio sviluppata dal partner Svizzero, mentre in fase operativa il team scientifico italiano, principalmente di Inaf, collabora alla gestione del programma osservativo e alla verifica delle prestazioni del telescopio, e svolge le attività di analisi dei dati scientifici», aggiunge Negri. «Il successo della missione Cheops ha confermato in Esa la già nota capacità dell’industria italiana nella realizzazione di sistemi ottici per lo spazio, a cui si aggiunge la notevole abilità di progettazione della comunità scientifica italiana. L’Asi sta guidando la partecipazione italiana alla missione Plato, sempre del Programma Cosmic Vision 2015-2025 di Esa ma decisamente più ambiziosa e impegnativa, che riguarda la fornitura di 34 Telescope Optical Units (Tou), che una volta integrate insieme ai rivelatori di piano focale, costituiranno un eccezionale “strumento” con una grande campo di vista che massimizzerà il numero di stelle brillanti sparse nel cielo osservabili in unico puntamento, e un’accuratezza fotometrica elevata su un ampio intervallo di luminosità. La missione Plato sta procedendo in maniera ottimale ed è in dirittura di arrivo per un lancio ad inizio del 2027. Visti i presupposti, siamo confidenti che la tecnologia made in Italy regalerà al nostro Paese un altro successo!».

 

 

In apertura: una stella infuocata rilascia un intenso bagliore di luce nello spazio. Alla sua destra, c’è un piccolo pianeta rosso che sfiora una delle linee di campo magnetico della stella. Il bagliore sta esplodendo in direzione del pianeta. Crediti: Danielle Futselaar.