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Com’era Giove nelle prime fasi dell’evoluzione del Sistema Solare, quando era l’unico pianeta interamente formato che orbitava attorno a un giovanissimo Sole? A questa domanda hanno tentato di rispondere gli scienziati Konstantin Batygin, professore di Scienze Planetarie al Caltech e Fred C. Adams, professore di Fisica e Astronomia all’università del Michingan, raccogliendo le conclusioni in uno studio appena pubblicato su Nature Astronomy. Gli autori hanno esaminato le dinamiche dei satelliti del sistema gioviano, insieme al momento angolare del gigante gassoso, per scoprire quale potesse essere la sua composizione interna e le dimensioni negli istanti successivi alla formazione, quando la nebulosa protostellare era in fase di dissipazione.

Dai calcoli è risultato che 3,8 milioni di anni dopo la comparsa delle prime masse solide nel Sistema Solare, Giove fosse enormemente più grande: il doppio, o due volte e mezza, le dimensioni attuali.  Gli stessi calcoli indicano anche che il campo magnetico doveva avere una potenza cinquanta volte superiore a quella odierna e che l’aggregazione di materia sottratta dal disco circumgioviano era avvenuta con grande rapidità: circa 1,2–2,4 masse gioviane ogni milione di anni.
Giove quindi si è formato molto velocemente, grazie anche a vaste quantità di materia da inglobare presenti nelle vicinanze. Oggi è il quinto pianeta per distanza dal Sole, la sua imponente massa è pari a due volte e mezzo la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme e circa 318 volte quella terrestre. La sua sola influenza gravitazionale ha contribuito a organizzare l’intero Sistema Solare, incluse le traiettorie degli altri pianeti. Comprendere fin nei dettagli l’evoluzione di questo gigante è quindi fondamentale, se si vuole ricostruire la storia del nostro sistema planetario con la massima fedeltà possibile.

Per scoprire com’era Giove poco dopo la formazione, Batygin e Adams hanno esaminato la dinamica orbitale di due delle sue 97 lune al momento confermate: Amaltea e Tebe. Questi due piccoli satelliti interni, che viaggiano su orbite inclinate e caratterizzate da lievi discrepanze, hanno permesso ai due scienziati di stabilire che il volume primordiale del gigante gassoso era circa duemila volte quello terrestre, quasi il doppio di quello attuale di 1.321 volte.

Grazie a questi indizi nascosti nel comportamento delle lune, che sono sopravvissuti per ben quattro miliardi e mezzo di anni, oggi è più facile e affidabile formulare una descrizione di quel periodo di transizione critico per il nostro sistema, in cui la nebulosa solare, dalla quale si sono formati i pianeti, scompare per far emergere una prima configurazione vagamente assimilabile a quella odierna. Queste teorie suggeriscono anche che Giove, e a seguire anche gli altri giganti gassosi, siano nati aggregando molto velocemente frammenti di rocce e ghiaccio, fino a formare quello che oggi è il loro nucleo solido.
Il modello evolutivo di base resta sempre lo stesso, accettato dalla comunità scientifica, questo studio fornisce misurazioni più precise sulle antiche dimensioni di Giove e sull’intensità iniziale del suo campo magnetico che saranno utili per renderlo sempre più corretto.

Come puntualizzato infatti dal professor Konstantin Batygin, uno dei due autori, con questa ricerca gli studiosi hanno più che altro un punto di riferimento in più per investigare e ricostruire le nostre origini. Per delineare un modello definitivo e fedele, la conoscenza approfondita  delle prime fasi della formazione planetaria è imprescindibile, soprattutto riguardo il ruolo di di Giove. Insieme al Sole, è lui il grande ‘architetto’ che ha plasmato il nostro sistema planetario fino a renderlo così come lo vediamo oggi e che potrà aiutarci a formulare previsioni su come evolverà in futuro.

Immagine: ricostruzione artistica della formazione di un gigante gassoso in orbita attorno a una giovanissima stella
Crediti: Eso/L. Calçada