Il telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa sta svolgendo un ruolo cruciale nello studio dei lampi di raggi X più lunghi ed energetici provenienti da un buco nero appena risvegliato. Osservare questo singolare comportamento in tempo reale offre un’opportunità unica per saperne di più sui processi che regolano questi oggetti celesti. Lo studio è stato pubblicato su Nature Astronomy.
Sebbene sappiamo che i buchi neri supermassicci, con masse milioni di volte superiori a quella del nostro Sole, si celano al centro della maggior parte delle galassie, la loro stessa natura li rende estremamente difficili da individuare e studiare dato che per lunghi periodi possono rimanere in uno stato dormiente, quasi del tutto inattivi.
È il caso del buco nero al centro di Sdss 1335+0728, una galassia distante situata a circa 300 milioni di anni luce da noi, nella costellazione della Vergine. Dopo essere rimasto inattivo per decenni, ha improvvisamente cominciato a brillare e ha iniziato a emettere lampi di raggi X.
I primi segnali di questa attività sono emersi alla fine del 2019 e hanno attirato l’attenzione degli astronomi. Dopo anni di osservazioni, gli scienziati hanno concluso che i cambiamenti erano probabilmente dovuti al risveglio improvviso del buco nero centrale, entrato in una fase attiva. Oggi, quella zona centrale luminosa e compatta è stata classificata come nucleo galattico attivo denominato Ansky.
«Quando abbiamo visto per la prima volta Ansky illuminarsi nelle immagini ottiche, abbiamo subito avviato osservazioni di follow-up con il telescopio spaziale a raggi X Swift della Nasa e abbiamo analizzato i dati d’archivio raccolti da eRosita, un altro telescopio a raggi X – ha affermato Paula Sánchez Sáez, ricercatrice dell’ European Southern Observatory, in Germania – all’epoca non avevamo trovato alcuna traccia di emissioni nei raggi X».
Questo raro evento offre un’opportunità unica per osservare il comportamento di un buco nero in tempo reale grazie all’aiuto di vari telescopi spaziali come i già citati Xmm-Newton e Swift, cui si aggiungono anche Chandra e Swift della Nasa; questa squadra di sguardi elettronici può studiare il fenomeno, noto come eruzione quasiperiodica, o Qpe. Le Qpe sono eventi di breve durata e intensità variabile ed è la prima volta che osserviamo un evento simile in un buco nero che sembra ‘risvegliarsi’. Le Qpe sono state scoperte per la prima volta nel 2019, e da allora ne sono stati rilevati solo pochi casi.
Xmm-Newton ha avuto un ruolo cruciale nello studio: è l’unico strumento abbastanza sensibile da rilevare la debole luce di fondo a raggi X tra un lampo e l’altro. Questo ha permesso ai ricercatori di misurare quanto Ansky si affievolisce tra i brillamenti, calcolando così la quantità di energia rilasciata durante le eruzioni.
Finora si riteneva che le Qpe fossero provocate da piccoli oggetti celesti catturati da buchi neri molto più grandi, destinati a precipitare lentamente verso di essi. Tuttavia, i dati più recenti raccolti osservando Ansky suggeriscono che queste esplosioni potrebbero essere collegate anche alla generazione di onde gravitazionali, segnali che la futura missione Lisa dell’Esa potrebbe riuscire a rilevare.
Foto in apertura: rappresentazione artistica di un buco nero. Crediti: European Space Agency, Nasa and Felix Mirabel (the French Atomic Energy Commission & the Institute for Astronomy and Space Physics/Conicet of Argentina).